mercoledì 27 maggio 2009

Il potere delle nostre convinzioni

Nel post precedente abbiamo visto come l’adagiarsi sulle abitudini sia uno dei tanti ostacoli che poniamo lungo la strada del cambiamento . Siamo soliti “rifugiarci nella routine” perché abbiamo bisogno di soddisfare un preciso bisogno della nostra mente: il sentirsi “sicuri”. Percorrere sentieri già noti vuol dire evitare di esporsi a rischi. E la mancanza di rischi ci procura tranquillità e senso di sicurezza che frenano inevitabilmente qualsiasi velleità di cambiamento; a meno che il rimaner vincolati alle nostre abitudini non ci provochi una certa dose di dolore: in tal caso accettiamo il rischio di abbandonare le vecchie abitudini ed iniziamo ad esplorare percorsi nuovi (vedremo in futuro come il dolore associato ad un certo status sia la molla principale che ci spinge a cambiare).

Ma oggi rimaniamo ancora concentrati su ciò che limita il cambiamento. Con il termine “cambiamento” intendo il raggiungimento di uno status diverso da quello abituale, a qualsiasi livello. Cambiamo quando superiamo una paura che ci blocca, quando troviamo le risorse necessarie a raggiungere un obiettivo, quando impariamo a fare chiarezza sulle cose che desideriamo e che vogliamo ottenere, quando mettiamo ordine nel nostro insieme di valori e così via... Ogni volta che ci attiviamo per raggiungere uno “stato diverso” da quello ordinario, otteniamo un cambiamento.

Uno dei limiti più grandi al cambiamento, che caratterizza la mente di tutti gli essere umani, è il bisogno di “coerenza” che è, ancora una volta, una conseguenza diretta del nostro fondamentale bisogno di “sicurezza”.
Basta una riflessione di pochi minuti per capire quanto abbiamo bisogno di restare coerenti con i principi in cui crediamo e quanto sia difficile cambiare opinione rispetto a qualcosa di cui siamo profondamente convinti. Le persone sarebbero capaci di morire pur di restare coerenti con i loro principi e le loro convinzioni. Il motivo è piuttosto evidente: per poter vivere in un mondo così caotico ed eterogeneo abbiamo bisogno di forti punti di riferimento. Il nostro modo di interpretare gli eventi esterni, il nostro modo di rapportarci agli altri, così come ogni nostro comportamento si basa su dei cardini molto forti che non possono essere messi in discussione facilmente: se la nostra mente mettesse continuamente in discussione i suoi punti di riferimento, ci sentiremmo completamente disorientati e la nostra esistenza diventerebbe praticamente invivibile.

Facciamo un esempio semplice. Ognuno di noi ha un insieme di “credenze” cioè un insieme di cose di cui è profondamente convinto.

Prendiamo ad esempio un uomo che è convinto di non essere attraente per le donne. Questo genere di convinzione potrebbe essere nata dopo aver ricevuto un “due di picche” o magari perché quell’uomo è “convinto” di essere timido e poco interessante. Fatto sta che questo genere di credenza è radicata nella sua mente ed è diventata un punto fermo, un paletto di riferimento che condiziona la sua esistenza. Il problema più grande è che la nostra mente – come già detto - ha un bisogno “esagerato” di rimanere coerente con le proprie convinzioni. Ecco quindi che quest’uomo, convinto di non essere attraente, pur di dimostrare a se stesso di “aver ragione” attuerà tutta una serie di comportamenti che lo porteranno facilmente a confermare la sua convinzione. Al limite potrebbe attuare una sorta di auto-sabotaggio, pur di rimanere coerente con la sua credenza.

Osserviamo infatti il comportamento tipico di un uomo che non si ritiene attraente. Supponiamo che ad una festa una donna mostri interesse per quest’uomo e glielo lasci intendere. L’uomo in un primo momento si sentirà disorientato perché si troverà di fronte ad un evento che non è coerente con la sua convinzione. E’ probabile che dopo un poco, nonostante gli evidenti ammiccamenti della donna, si “convinca” che si tratti di uno sbaglio o di un’incomprensione. Penserà: “probabilmente quei sorrisi ammalianti sono rivolti a quell’uomo che è dietro di me” (magari la persona dietro di lui è oggettivamente bruttissima, ma, pur di restare coerente con la sua credenza, si “convince” che sia più attraente di lui). Ecco il genere di pensieri che potrebbe affiorare nella mente del nostro uomo:
- “probabilmente quella donna ha un tic all’occhio e io l’ho scambiato per un invito”.
- “probabilmete deve essere una pazza depressa che si accontenta del primo che capita a tiro. Ma in realtà non ha nessun interesse per me."
- “quella donna mi sta prendendo per il culo. Sono sicuro che i miei amici mi hanno organizzato uno scherzo”.
- “sta cercando di attaccare bottone con me solo perché vuole che io le presenti il mio amico. Mi sta usando da tramite...”

Poi magari il suo più caro amico gli si avvicina e gli dice: “ma ti rendi conto di come ti guarda quella donna? Cosa aspetti?”. Ed ecco che il nostro uomo è ancora più disorientato perché, ancora una volta, la sua convinzione sta per essere minata da qualche dubbio. Ma il suo “bisogno di coerenza” è sempre in agguato e troverà mille giustificazioni per dimostrare il contrario. E se quella donna dovesse diventare insistente con gli sguardi, magari tentare un approccio, il nostro uomo preferirà defilarsi: inizierà ad evitare di incrociare gli sguardi, fingerà di essere preso da una discussione politica, al limite cercherà di nascondersi dietro ad una tenda. In altre parole inizierà quella tipica fase di “autosabotaggio” finalizzata a dimostrare a se stesso che le cose stanno così, proprio come lui è convinto che siano. Perché non c’è cosa più “sicura” e “tranquillizzante” che dirsi “io so chi sono, so come sono fatto, ed è proprio così che vanno le cose”.

Io in passato ero fermamente convinto di non avere senso dell’orientamento. Poiché per hobby faccio il musicista, mi capitava spesso di recarmi in luoghi che non conoscevo. Pur chiedendo informazioni ai passanti sulle indicazioni da seguire, puntualmente mi perdevo e non riuscivo mai a raggiungere in tempo il mio luogo di destinazione. Analizzando col senno di poi il mio comportamento, mi sono reso conto che ero talmente convinto di non riuscire ad orientarmi che, non appena chiedevo ad un passante la direzione da seguire, il mio cervello smetteva automaticamente di incamerare informazioni. Magari il malcapitato si sbracciava indicandomi di seguire “la prima a destra e poi, al semaforo, la seconda a sinistra...”. Ma in quel momento mi assentavo; il mio cervello non riusciva più ad elaborare informazioni. A volte mi sforzavo di recepire almeno la prima indicazione, per dare un minimo di soddisfazione all’informatore di turno. Altre volte ripartivo in direzione diametralmente opposta a quella indicata... e quel pover’uomo che urlava “ti ho detto che devi andare da quest’altra parte!”, mentre alzava le mani in segno di rassegnazione e probabilmente pensava tra sé e sé “ma questo è proprio scemo”.
Ero talmente convinto di non avere senso dell’orientamento che il mio cervello si rifiutava di ascoltare ed elaborare le informazioni. Se lo avesse fatto avrebbe tradito una mia convinzione, si sarebbe spostato sul terreno dell’incoerenza. E il mio cervello non lo avrebbe mai permesso, anche a costo di autosabotarsi.
Riuscivo finalmente a raggiungere l’ambita meta quando, incalzato dal ritardo accumulato, cercavo, con un po’ di concentrazione, di memorizzare tutte le informazioni che mi venivano date. Capitava magari che, confortato dal successo, riuscivo a raggiungere facilmente le destinazioni per due, tre o quatto volte consecutive. Ma non appena mi capitava di smarrire nuovamente la bussola, ecco che mi rifugiavo nella classica affermazione: “lo sapevo, ho un pessimo senso dell’orientamento. Sono fatto così e non cambierò mai. Non posso farci nulla”. Magari la logica avrebbe voluto che, alla luce degli ultimi risultati positivi, mi convincessi che “pur avendo un pessimo senso dell’orientamento, avrei potuto raggiungere la destinazione se solo mi fossi concentrato di più e avessi posto maggiore attenzione a tutte le indicazioni”. E invece il bisogno di restare “coerente” con la mia convinzione limitante era così forte che bastava un solo episodio negativo per togliere valore anche a 3 o 4 “successi” consecutivi.

E’ quello che succederebbe all’uomo impacciato se il giorno successivo trovasse un donna che gli dicesse di non ritenerlo attraente: a nulla varrebbero gli ammiccamenti della sera prima. La sua convinzione di non essere attraente è ben radicata e l’evento negativo non fa altro che rafforzare ulteriormente questa convinzione. Facendo la media dovrebbe razionalmente ritenere di essere attraente per alcune donne e poco attraente per altre. Ma questi meccanismi non sono di dominio della ragione. Basterà un solo evento negativo per rafforzare la convizione limitante, perché il bisogno di coerenza, il bisogno di dire “sono fatto così” è troppo forte per essere messo in discussione anche da due, tre o quattro eventi contrari alla propria convinzione.

Ecco che se vogliamo ottenere qualcosa e siamo convinti di non riuscire ad ottenerla, allora è meglio non provarci: apriremmo le porte al fallimento e ciò alimenterebbe ancor di più la nostra convinzione limitante.

Avete mai sentito qualcuno che dice “sto cercando di smettere di fumare, ma non sono sicuro di riuscirci”? E' riuscito costui a smettere di fumare? Se non era convinto di raggiungere l’obiettivo, come poteva mai ottenerlo? Anche se fosse stato fermamente convinto di farcela, non è detto che ci sarebbe riuscito, perché sarebbero potuti intervenire tanti altri fattori imprevedibili. Ma figuriamoci se è partito già con la convinzione di fallire! La sua mente non gli avrebbe mai permesso di sacrificare il suo “bisogno di coerenza”.

Ovviamente avere forti convizioni ha anche un valore positivo, quando ovviamente ci riferiamo a convizioni potenzianti. Così chi è convinto di essere portato per la matematica potrà sbagliare i calcoli anche dieci volte, ma la sua credenza potenziante lo porterà a “sbattere talmente la testa” su quel quaderno che prima o poi risolverà il problema... proprio perché è convinto di essere “bravo in matematica” e non può smentire questa sua convinzione.
Chi è convinto di “saperci fare con le donne” potrà prendere anche 10 pali consecutivi, ma non si rassegnerà; e quando all’undicesima volta gli andrà bene, dirà fra sé e sé: “lo sapevo che ci riuscivo, perché l’ho sempre saputo che ci so fare con le donne”. Il bisogno di confermare la sua convinzione gli avrà dato le risorse necessarie per tentare e ritentare più volte, per cambiare tattiche e correggere il tiro, fino ad ottenere il risultato desiderato.

Il nostro sistema di credenze può essere la fonte di una potenza illimitata come la causa di drammatici fallimenti. Credenze fortissime sono alla base di tutti i grandi successi dell’umanità. Si dice che Thomas Edison abbia fallito ben 10.000 volte (!) prima di riuscire a inventare la lampadina. Se non avesse avuto alla base la convinzione assoluta di poter ottenere luce attraverso la corrente elettrica si sarebbe arreso al secondo tentativo. Era convinto di farcela e niente avrebbe potuto minare la sua convinzione (nemmeno 10.000 tentativi falliti!).

L’argomento trattato oggi va sicuramente ampliato e sviluppato. Vanno descritte le tecniche per smontare le convinzioni limitanti e rimpiazzarle con convizioni potenzianti. Ciò sarà argomento dei prossimi post.

Per il momento fai un semplice esercizio: scrivi su un foglio di carta tutte le convizioni che ritieni limitanti. Poi riscrivi tutte le convinzioni anteponendo a ciascuna di esse la frase “A me sembra che”. Ad esempio se hai scritto “sono convinto di essere una persona disordinata”, riscrivi sul secondo foglio “a me sembra di essere una persona disordinata”. Poi aggiungi in coda la frase “in realtà non sono poi così convinto di esserlo”. Quindi la frase finale diventerà “A me sembra di essere una persona disordinata. Ma in realtà non sono poi così convinto di esserlo”. Rileggi ciò che hai scritto ogni giorno per una decina di giorni: potrai già notare un cambiamento di prospettiva rispetto alle tue attuali credenze.

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