martedì 11 agosto 2009

Obiettivi ben formati

Prenderò una ventina di giorni di pausa, sia per godermi qualche giorno di vacanza, sia per organizzare gli argomenti che affronteremo nel prossimo futuro. Vorrei però congedarmi con un importante spunto di riflessione che “darà il La” a tutta una serie di post che pubblicherò a settembre.

In questi primi mesi abbiamo spesso parlato di quali sono gli strumenti utili per raggiungere i nostri obiettivi. Abbiamo descritto gli stati d’animo e le giuste convinzioni da adottare, ma poco o nulla abbiamo detto relativamente alla natura degli obiettivi.
Probabilmente se chiedessi a cento persone cosa realmente desiderano dalla vita, almeno 95 di queste non saprebbero rispondermi in modo definito e preciso. Molti mi direbbero di “desiderare più soldi”. Al che sarei tentato di infilare una mano in tasca e porger loro una moneta da un euro, esclamando: “Complimenti! Hai raggiunto il tuo obiettivo, ora hai effettivamente più soldi!”. E’ solo una battuta, ma direi che è emblematica: la maggior parte delle persone non riesce a sentirsi realizzata (cioè a realizzare i propri obiettivi) semplicemente perché... non ha obiettivi. Oppure si pone degli obiettivi talmente vaghi che non avrà mai dei parametri adeguati per poter valutare se e quando li avrà raggiunti.

Supponi di essere un marinaio e di sapere perfettamente qual è il porto sul quale dovrai ormeggiare la tua barca; non importa in quale direzione soffierà il vento, non importa se dovrai affrontare delle tempeste lungo il percorso: tu hai ben presente il porto di arrivo e presto o tardi lo raggiungerai.

Purtroppo molte persone si comportano come marinai che non conoscono il porto d’arrivo: si ritrovano a navigare in mezzo al mare, in balìa dei venti e delle correnti marine. Ora vanno in una direzione, ora in un’altra. Una tempesta improvvisa può alterare la loro rotta: potrebbe addirittura portarli a navigare in direzione opposta, senza che loro se ne accorgano. Il problema è che non sanno dove arrivare, non hanno un obiettivo definito.

Ricordi qualcosa di grande che hai realizzato nella tua vita? C’è un obiettivo che hai raggiunto e del quale ti senti orgoglioso? Non importa la natura dell’obiettivo: potrebbe essere una laurea, una promozione in azienda, l’aver creato una famiglia o aver raccolto i fondi necessari per un progetto di beneficenza. Ricordi com’era il tuo obiettivo? Sicuramente era preciso, ben formulato, chiaro e quantificabile: “devo completare i miei studi sostenendo gli ultimi 10 esami che mi mancano”; oppure “devo raccogliere fondi per un ammontare di almeno 5000 euro”. Questi sono obiettivi chiari e quantificabili che danno alla tua mente delle coordinate precise e le permettono di individuare meglio la direzione da seguire e soprattutto di correggere la rotta in caso di deviazioni impreviste.

C’è poi un’altro dato importante che caratterizza ogni obiettivo che ti sei posto in passato: una scadenza, ossia un intervallo temporale entro il quale realizzarlo: “devo completare i miei studi entro la fine di quest’anno” oppure “devo raccogliere 5000 euro entro 4 mesi”. In questo modo la tua mente riceve delle indicazioni ancora più stringenti che le permettono di accedere a risorse più utili.

E’ importante esprimere il proprio obiettivo in forma positiva. Non è utile desiderare di “cambiare la condiziona attuale”, ma piuttosto bisogna tracciare le caratteristiche della “condizione futura”. L’affermazione “non sono soddisfatto del mio attuale lavoro e voglio cambiarlonon è un obiettivo ben formulato, perché ci permette di sapere solo da cosa vogliamo allontanarci, ma non dove vogliamo arrivare. E’ come se il marinaio sapesse solo di dover salpare da un porto e di doversi allontanare il più possibile da quest’ultimo: si ritroverebbe comunque in mezzo al mare in balìa di venti perché non conoscerebbe il punto di arrivo. Quindi formuliamo obiettivi indicando la condizione che vogliamo ottenere e non quella da cui intendiamo allontanarci.

Ma anche formulare correttamente un obiettivo potrebbe non essere sufficiente per riuscire a realizzarlo. Ricordi qual era l’ingrediente più importante che in passato ti ha permesso di perseverare e di affrontare con tenacia gli eventuali imprevisti? Era il desiderio. La brama di voler veramente raggiungere quella condizione. Ciò che di grande hai realizzato nella vita si è formato in primo luogo nella tua mente, sotto forma di desiderio: immagini grandi e vivide che ti anticipavano il momento in cui avresti raggiunto la meta e te la facevano pregustare nei minimi dettagli. E quanto più era forte il desiderio di raggiungere quella condizione tanto più eri in grado di recuperare le giuste risorse e di trovare le opportune soluzioni per avvicinarti sempre di più alla tua meta.

In futuro avremo modo di approfondire ogni aspetto trattato in questo post. Vorrei però che ponessi ancora attenzione al concetto di desiderio. Nei prossimi giorni rifletti su questa domanda: la condizione nella quale ti trovi oggi è veramente tanto diversa da ciò che hai desiderato? E’ probabile che tu voglia di più dalla vita, come del resto la maggior parte delle persone. Ma ti chiedo: c’è qualcosa che hai desiderato ardentemente (o che – al limite – ti ha ossessionato) e che non sei riuscito a realizzare? Oppure ciò che sei oggi corrisponde grosso modo a quelle che erano le tue aspettative? Prova a riflettere su questi interrogativi: potresti scoprire che ciò che non sei riuscito a realizzare, è ciò che non hai mai veramente desiderato.

sabato 8 agosto 2009

Cambiare stato d’animo grazie alle intuizioni di Pavlov

Pavlov fu uno scienziato russo nato nel 1849. E’ famoso per aver condotto degli studi sui meccanismi di salivazione dei cani. Il suo celebre esperimento consisteva nel suonare un campanello ogni volta che somministrava del cibo ad un gruppo di cani. Notò che, dopo aver ripetuto l’associazione cibo-campanello per un certo numero di volte, bastava il semplice suono del campanello per determinare nei cani un aumento della salivazione.

Anche noi uomini reagiamo a determinati stimoli esterni modificando il nostro stato d’animo o attivando comportamenti e processi fisiologici. Con il termine ancoraggio si intende in PNL quel procedimento che permette di associare ad uno stimolo esterno una determinata reazione. Ogni volta che lo stimolo esterno viene ripetuto, il nostro organismo riproduce quella sensazione o quello stato d’animo (proprio come avveniva nei cani di Pavlov).

Tutti conosciamo una persona esilarante con la quale ci divertitiamo tutte le volte che la incontriamo. E’ probabile che nella nostra mente si sia creata un’associazione (altrimenti detta un’àncora) tra l’immagine di quella persona e lo stato d’animo di allegria: potremmo essere arrabbiati, nervosi o apatici, ma basterebbe incontrare quella persona per strada per farci tornare il sorriso sulle labbra.

E’ questo il motivo per cui molti comici ripetono continuamente gli stessi slogan o gesti: il primo che mi viene in mente è Gabriele Cirilli, il comico di Zelig che ripeteva continuamente “Chi è Tatiana?”. Se ci troviamo in uno stato d’animo di allegria ogni volta che ascoltiamo una frase o osserviamo un determinato gesto, dopo un po’ di tempo assoceremo lo stato d’animo di allegria a quella frase o a quel gesto: sarà sufficiente che lo stimolo esterno (il gesto o la frase) sia ripetuto per ritrovarci nuovamente in quello stato d’animo. Ecco perché appena il comico entra in scena e ripete quello slogan, una buona parte del pubblico scoppia a ridere.

Possiamo utilizzare questa importante caratteristica della nostra mente per richiamare gli stati d’animo opportuni ogni volta che ne abbiamo bisogno. Abbiamo dedicato diversi post del mese di giugno e luglio agli stati d’animo e ti invito a leggerli se non lo hai ancora fatto. Abbiamo visto quanto sia importante trovarci in un certo stato d’animo per poter ottenere realmente ciò che vogliamo. Parecchie volte manchiamo l’obiettivo perché abbiamo affrontato la situazione con lo spirito (cioè con lo stato d’animo) sbagliato. Non sarebbe azzardato sostenere che le uniche cose di cui abbiamo bisogno per raggiungere qualsiasi obiettivo sono due: il giusto stato d’animo e le giuste convinzioni. Tutto il resto viene di conseguenza.

Abbiamo dedicato il post del 3 luglio alla tecnica per richiamare uno stato d’animo. Oggi vedremo come ancorarlo ad un gesto, in modo da poterlo richiamare più velocemente tutte le volte che ne avremo bisogno. Come già detto in passato, per richiamare uno stato d’animo dobbiamo prima di tutto fare in modo che il nostro corpo assuma la giusta conformazione: non possiamo richiamare lo stato d’animo dell’allegria se abbiamo le sopracciglia aggrottate o le braccia conserte. Poi, attenendoci al principio che “la mente non fa differenza tra una esperienza vissuta ed una vividamente immaginata”, dobbiamo ripensare ad una scena passata in cui abbiamo provato in maniera marcata quel determinato stato d’animo. La scena mentale va rivissuta in modalità associata (cioè in prima persona, senza osservarci dall’esterno) in modo da renderla ancora più carica emozionalmente. Mentre riviviamo la scena avviciniamo le immagini mentali, rendiamole a poco alla volta sempre più grandi e facciamo in modo che i colori siano più vividi e brillanti. Con questi accorgimenti noteremo un aumento proporzionale della sensazione.

E’ proprio nel momento in cui raggiungiamo l’apice della sensazione che possiamo ancorarla ad un gesto: ad esempio potremmo chiudere il pugno o unire l'indice e il medio o toccarci un ginocchio. Oppure potremmo pronunciare una parola ad alta voce, in modo da creare un ancoraggio uditivo. L’importante è associare quello stato d’animo ad un gesto o ad un suono facilmente riproducibile.
Nella fase iniziale l’esperimento va ripetuto più volte al giorno e per più giorni, in modo da creare un’associazione solida tra la sensazione provata e il gesto effettuato.
Possiamo ancorare tutti gli stati d’animo che vogliamo e che possono risultarci utili nel quotidiano: l’allegria, il senso di sicurezza in se stessi, la rilassatezza. Ovviamente ogni stato d’animo va ancorato ad un gesto diverso.
Così quando ci troveremo in una situazione in cui abbiamo bisogno di essere rilassati, ci basterà stringere il pugno o toccarci la spalla per ritrovarci dopo pochi istanti nello stato d’animo desiderato.

lunedì 3 agosto 2009

La PNL per cambiare le nostre convinzioni

Continuiamo a parlare di convinzioni limitanti e di come possiamo modificarle. In questo post utilizzeremo alcuni strumenti messi a disposizione dalla PNL per liberarci di convinzioni che ci limitano e sostituirle con altre che riteniamo più utili e potenzianti.
Nel penultimo post ho introdotto una tecnica che prevede un’analisi razionale delle nostre convinzioni finalizzata ad individuare delle “falle” che ci permettano di non essere del tutto certi della veridicità delle nostre credenze: insinuando qualche dubbio e allo stesso tempo avvalorando una credenza potenziante, opposta a quella di cui vogliamo liberarci, riusciamo a cambiare la percezione delle cose.

Con l’esperimento di oggi cercheremo di ottenere lo stesso risultato intervenendo direttamente sulle submodalità delle nostre credenze. Si tratta quindi di una tecnica molto più diretta della precedente, in grado di darci dei risultati immediati e che può essere usata a prescindere dal metodo precedente o, meglio ancora, per rafforzarlo e integrarlo.

Cos’è una credenza in termini di rappresentazioni interne? Come abbiamo più volte visto in passato, ogni informazione contenuta nel nostro cervello è codificata sotto forma di immagini, suoni e sensazioni che hanno determinate caratteristiche. Di conseguenza anche ciò in cui crediamo fermamente, così come ciò di cui dubitiamo, è rappresentato nella nostra mente mediante un preciso set di submodalità.

Per cambiare una convinzione dobbiamo procedere in questo modo:
  • Individuiamo le submodalità che associamo a qualcosa a cui crediamo fermamente.
  • Individuiamo le submodalità che associamo a qualcosa di cui dubitiamo.
  • Applichiamo le “submodalità del dubbio” alla nostra credenza limitante, in modo da rappresentarla come un dubbio e non più come una certezza.
  • Individuiamo una nuova informazione potenziante (che è evidentemente rappresentata come dubbio) e applichiamo ad essa le "submodalità della convinzione" in modo da trasformarla in una credenza potenziante.

Ad un primo sguardo la procedura potrebbe risultare difficile da applicare, ma in realtà non lo è. Un esempio chiarirà tutto.

In primo luogo individuiamo le submodalità che associamo alle forti convinzioni. Pensiamo a qualcosa di cui siamo certi. Possiamo pensare a ciò che abbiamo realizzato in passato, ad un hobby che pratichiamo abitualmente o ad un aspetto del nostro carattere: l’importante è che avvertiamo di essere convinti di ciò a cui stiamo pensando. Inevitabilmente si formeranno nella nostra mente delle immagini, eventualmente associate a suoni e accompagnate da sensazioni. Qui dobbiamo stare attenti ad individuare tutte le submodalità che caratterizzano le immagini, i suoni e le sensazioni che si formano nella nostra mente. Per l’elenco delle submodalità a cui dobbiamo porre attenzione fai riferimento al post precedente.

Supponiamo che io abbia la seguente convinzione: “sono una persona sportiva, amo fare attività fisica e stare all’aria aperta”. Poichè ho dei riscontri pratici sul fatto di essere uno sportivo e di amare la vita all’aria aperta, non avrò alcun dubbio quando pronuncerò questa frase. Ma questa informazione è codificata nella mia mente in un certo modo: che immagini si formano quando penso alla mia convinzione (o quando la pronuncio ad alta voce)? Potrei rivedermi mentre faccio una corsetta in un parco o mentre gioco a calcetto. Ma come sono queste immagini? Vedo nella mia mente una sorta di film o delle immagini statiche, come se fossero delle diapositive? Mi vedo in modalità associata o dissociata? I colori sono brillanti? Qual è la posizione delle immagini nel mio campo visivo mentale? Ascolto dei suoni (come ad esempio il rumore delle scarpette da ginnastica sulla terra battuta)? Avverto una tensione in qualche muscolo? Quanto è intensa quella sensazione? Insomma cerchiamo di raccogliere quante più informazioni possibili su ogni submodalità associata a immagini, suoni e sensazioni prendendo spunto dall’elenco pubblicato nel post precedente.

Ora applichiamo lo stesso procedimento, ma ad un’informazione di cui dubitiamo. Pensiamo a qualcosa che ci crea dei dubbi e vediamo cosa si forma nella nostra mente. In questo caso dobbiamo fare attenzione a non prendere in esame un’informazione che riteniamo palesemente falsa: infatti quando consideriamo falsa un’informazione ci riferiamo comunque ad una caratteristica di cui siamo convinti, quindi è probabile che quell’informazione abbia le stesse submodalità della convinzione già individuate nel caso precedente.
Pertanto prenderemo in esame qualcosa di cui dubitiamo. Evidentemente in questo caso le submodalità saranno diverse perché la nostra mente non può rappresentare allo stesso modo ciò di cui è convinta e ciò di cui dubita. Così potremmo scoprire che, mentre le immagini associate alle nostre convinzioni sono grandi, nitide e luminose, quelle associate al dubbio sono piccole e sfocate. Mentre rappresentiamo le convinzioni tramite una film mentale, il dubbio è rappresentato con immagini fisse. Ovviamente tali submodalità sono indicative e ognuno ha il suo sistema di rappresentazione. L’importante è prendere nota delle differenti submodalità che caratterizzano le nostre convinzioni e i nostri dubbi.

Ora applichiamo le submodalità del dubbio alla nostra credenza limitante, cioè alla convinzione che vogliamo cambiare. Così se credevamo di “essere negati per il disegno” e rappresentavamo tale informazione con le submodalità della convinzione, sforziamoci di rappresentare quello stesso concetto con le caratteristiche del dubbio. Potremmo ad esempio rimpicciolire le immagini, scurire i colori o renderli più sfocati, spostare le immagini in alto o a destra... insomma applicare le giuste submodalità affinché in nostro cervello codifichi quell’informazione come qualcosa di cui dubitare e non più come qualcosa in cui credere.

Dopo aver applicato le varie submodalità, prendiamoci qualche minuto per ripensare più volte alla vecchia credenza con le nuove submodalità: noteremo che effettivamente ciò a cui prima credevamo non ci dà più quel senso di sicurezza e convinzione, ma al contrario ci comunica dubbio e incertezza. Ciò potrebbe provocarci al principio un senso di smarrimento: perdere improvvisamente un convinzione mantenuta per anni può generare questi effetti.

Ora prendiamo l’informazione che vogliamo trasformare in una credenza potenziante. Il nostro compito è quello di applicare a questa informazione (che è ancora rappresentata come dubbio), tutte le submodalità della convinzione in modo che il nostro cervello la codifichi come qualcosa a cui credere fermamente.

Quando i due processi saranno ultimati (trasformazione della credenza limitante in dubbio e acquisizione di una nuova credenza potenziante), dovremmo fin da subito notare nuove predisposizioni e nuovi orientamenti da parte del nostro cervello.
Ricorda che la mente impara molto velocemente: quando cambiamo la rappresentazione di una nostra informazione, il cervello la memorizza rapidamente e anche in futuro ce la ripropone nella nuova forma, a meno che non intervengano altre esperienze o informazioni esterne che ne modifichino nuovamente la rappresentazione. Così se dopo un giorno ripensiamo alla nostra (ex) credenza limitante, la troveremo ancora codificata come dubbio. E’ comunque opportuno nei giorni successivi fare dei test per vedere se le informazioni vengono codificate con le nuove submodalità. Dobbiamo quindi ripensare alla nostra originaria credenza limitante e verificare se è rappresentata come un dubbio e al tempo stesso dobbiamo accertarci che la nostra nuova credenza potenziante sia rappresentata come qualcosa di cui siamo convinti. Se notiamo che le submodalità sono cambiate, eseguiamo nuovamente l’esercizio in modo da ristabilire le giuste submodalità.

Quando si eseguono questi esercizi bisogna porre particolare attenzione alle submodalità: sono queste che comunicano al nostro cervello di credere o di dubitare di qualcosa. Se non le individuiamo correttamente o se le applichiamo in modo sbagliato o parziale possiamo dare al cervello delle informazioni diverse o inconsistenti. All’inizio è normale riscontrare qualche difficoltà nell’individuare le corrette submodalità di ogni nostra rappresentazione, ma con un po’ di allenamento ed eseguendo più volte l’esercizio su rappresentazioni diverse riusciremo prima o poi ad isolare tutte le submodalità che ci interessano.

Per coloro che si sono avvicinati da poco alla PNL, posso intuire quanto un esperimento del genere possa risultare insolito: sembra bizzarro che semplicemente cambiando la dimensione o i colori di una nostra immagine mentale, possano cambiare automaticamente le nostre convinzioni e di conseguenza alcuni aspetti del nostro carattere. L’efficacia di una tecnica va verificata sperimentandola e non semplicemente leggendola e ipotizzandone l’esito. Quindi il mio consiglio è di sperimentare e verificare di persona ponendosi però nei confronti della materia con un atteggiamento aperto e privo di pregiudizi.