lunedì 18 maggio 2009

Alla scoperta delle nostre submodalità

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del modo in cui rappresentiamo mentalmente i nostri pensieri facendo un nuovo esercizio sulle submodalità. Come sempre invito i nuovi lettori a consultare gli ultimi 2-3 post per acquisire i concetti di base della programmazione neurolinguistica.

Non è facile individuare in modo chiaro e preciso come rappresentiamo mentalmente un’idea, un’esperienza passata, un desiderio, una preoccupazione o una fobia. Ci sono alcune submodalità molto facili da riconoscere: ad esempio, per quanto mi riguarda, riesco a capire facilmente se sto pensando in modalità associata o dissociata.
Pensiamo in modo associato quando ad esempio riviviamo un ricordo in prima persona, cioè quando nella nostra mente riviviamo le esperienze con i nostri occhi, come se noi fossimo realmente presenti sul posto. Pensiamo in modo dissociato quando invece vediamo mentalmente la nostra persona che compie determinate azioni: in questo caso ci poniamo come osservatori della nostra figura mentre rivive quell’esperienza.

Solitamente pensare ad un’esperienza in modalità associata ci porta in maniera più o meno evidente a riprovare le sensazioni fisiche che abbiamo provato nel corso di quell’esperienza (paura, imbarazzo, vergogna, gioia etc..). Le esperienze vissute in modalità dissociata sono piuttosto neutre dal punto di vista emozionale.

Le persone depresse o infelici che affermano di vivere un’esistenza caratterizzata dall’apatia e da pochi momenti di serenità, hanno probabilmente un sistema di rappresentazione mentale che li porta, inconsapevolmente e in modo piuttosto automatico, ad archiviare tutte le esperienze dolorose in modalità associata e tutte le esperienze piacevoli in modalità dissociata: in tal modo le esperienze spiacevoli condizionano in modo più evidente l’individuo, perché tutte le esperienze piacevoli, seppur presenti, sono rappresentate con una modalità che “smorza” le sensazioni positive ad esse associate.
Uso spesso l’avverbio “probabilmente” perché non esiste un sistema di rappresentazione comune a tutti gli individui: ci sono anche individui che provano sensazioni più forti allontanando le immagini mentali; quindi non si può dare per scontato che le submodalità che provocano determinate reazioni in un individuo, siano valide per tutto il genere umano.

L’obiettivo di ognuno di noi è scoprire quali sono le submodalità che caratterizzano ogni immagine, suono o sensazione che attraversa i nostri neuroni. Dopo aver acquisito tale consapevolezza si potrà intervenire sulle nostre rappresentazioni applicando ad esse le submodalità che riteniamo più utili.

Dicevo poc’anzi che non è sempre facile e immediato individuare le submodalità di una nostra rappresentazione interna. A tal proposito ritengo che molti manuali di PNL siano piuttosto carenti. Infatti si è soliti leggere: “pensa ad un'esperienza e descrivi come la vedi.” E’ grande o piccola? Scura o luminosa? Sei “associato” o “dissociato”? Vedi immagini fisse o una sequenza di scene (tipo “film”)?
Un problema che io ho riscontrato è che, quando ci concentriamo sull’osservazione delle submodalità, possiamo involontariamente alterarle. Ad esempio pensare a qualcosa con l’obiettivo di capire se la rappresentazione è luminosa o meno, può portarmi ad alterare le caratteristiche di luminosità delle immagini, proprio perché pongo troppa attenzione a quella determinata proprietà dei miei pensieri che normalmente è elaborata in maniera automatica e inconscia. E’ un po’ come il principio fisico di indeterminazione di Heisemberg: l’osservazione del fenomeno può alterare il risultato finale.

Prendere quindi consapevolezza delle nostre submodalità è un processo che va fatto quotidianamente e con pazienza. Mentre pensiamo, ci preoccupiamo, desideriamo qualcosa, ci motiviamo, abbiamo paura, siamo sicuri di noi stessi (e così via) dobbiamo chiederci come stiamo rappresentando quei pensieri, aggiungendo sempre nuovi particolari, correggendo il tiro a poco alla volta fin quando non avremo un quadro completo delle submodalità associate ad ogni nostro pensiero/comportamento/valore/idea.

Ad esempio se dobbiamo andare dal dentista e proviamo paura, chiediamoci all’improvviso: quali pensieri sto facendo per provare paura e soprattutto quali sono le submodalità associate? O mentre stiamo per tornare a casa in auto e stiamo già pregustando il nostro piatto preferito che cucineremo, chiediamoci: “come sto rappresentando il desiderio di cucinare quel piatto? Ho disegnato nella mia mente il piatto fumante? Com’era l’immagine? Grande o piccola, luminosa, lontana o vicina? O forse immaginavo me stesso mentre mangiavo? In tal caso mi vedevo “associato” o “disassociato”?

Sarebbe opportuno prendere nota in un diario delle caratteristiche di ogni nostra rappresentazione, in modo da utilizzarle in applicazioni future. Ad esempio nel nostro diario potremmo scrivere che il “desiderare qualcosa” (ad esempio il nostro piatto preferito) viene rappresentato nella nostra mente attraverso immagini vivide piuttosto che grandi, ravvicinate o posizionate giusto al centro del nostro campo visivo. Come utilizzeremo in futuro questi dati? Semplice: se non desideriamo fare sport ma sappiamo che è necessario per la nostra salute, cambieremo le submodalità delle immagini associate all’attività sportiva e applicheremo ad esse le stesse submodalità del “desiderare qualcosa” che abbiamo codificato in passato. Il risultato sarà quello di iniziare a poco alla volta a desiderare di fare attività sportiva. Ma non precorriamo i tempi: nei post futuri vedremo come sfruttare al meglio le nostre submodalità con tecniche specifiche per ogni obiettivo che intendiamo raggiungere.

Nei prossimi post elencherò tutte le submodalità visive, uditive e cinestesiche in modo che potremo crearci un quadro più preciso di tutte le caratteristiche di cui dobbiamo prendere nota. Negli ultimi post ho elencato per semplicità solo alcune submodalità visive, ma esistono decine e decine di submodalità di cui bisogna tener conto.

Ad esempio una submodalità visiva che dobbiamo fin da subito abituarci a riconoscere è la posizione delle immagini. Per diverso tempo ho trascurato questa submodalità nei miei esercizi: da quando ho iniziato a porre attenzione alla posizione in cui si formavano le mie immagini mentali, i miei risultati sono migliorati tantissimo. Siamo portati a pensare che ogni nostra immagine mentale si formi davanti ai nostri occhi, in posizione centrale. In realtà la maggior parte di noi proietta le immagini mentali in posizioni diverse a seconda del tipo di esperienza, idea o aspettativa che sta rappresentando. Ad esempio l’immagine potrebbe formarsi più a destra rispetto alla zona frontale. Oppure potrebbe formarsi in alto, quasi all’altezza della calotta cranica. Altre immagini potrebbero formarsi molto in basso o a sinistra. Poni pertanto molta attenzione alla posizione delle immagini e prendine nota.

Tempo fa notavo di avere un rapporto molto cordiale con alcune persone, mentre con altre ero sempre un po’ impacciato. E’ quello che capita a tutti noi: con un amico abbiamo rapporti più informali rispetto ad esempio al rapporto che abbiamo con il nostro datore di lavoro. Ma io volevo eliminare quelle sensazioni di inadeguatezza che provavo quando interagivo con certe persone. Esaminando le submodalità con cui avevo “archiviato” le persone di mia conoscenza, notai che gli amici e le persone più care si formavano proprio davanti agli occhi. Le persone con le quali avevo un rapporto più formale si formavano un po’ più in alto, all’altezza della fronte. Quelle con le quali non andavo d’accordo o delle quali non gradivo la compagnia si formavano sempre in alto ma spostate sulla destra e così via... Poiché avevo necessità di avere un rapporto più informale e sereno con alcune persone, non ho fatto altro che spostare la loro immagine dalle posizione “alte” al centro del mio campo visivo mentale. Ripensando più volte a quelle persone nella loro nuova posizione ho educato la mia mente a rappresentare quelle persone in modo diverso ed automaticamente è cambiato anche il modo di rapportarmi ad esse.

L’esercizio che ti propongo consiste nel prendere il tuo telefono cellulare, scorrere la rubrica, immaginare le persone associate ad ogni contatto e notare le submodalità che le caratterizzano. Nota le differenze di rappresentazione tra gli amici, i parenti, i clienti, gli estranei etc.
Per me la differenza principale era la posizione in cui si formavano le immagini, ma per te potrebbero essere altre submodalità quali la grandezza dell’immagine, la luminosità, la distanza. Prendi nota delle submodalità associate ad ogni categoria di persone perché ti sarà molto utile in seguito.

Infine ti ricordo che se hai bisogno di qualsiasi chiarimento puoi lasciare un commento al post. Mi aiuterai a capire quali sono gli argomenti da esporre con maggior chiarezza.

4 commenti:

Unknown ha detto...

ciao quando guardo l immagine di una persona la vedo spostata sulla destra se la persona arrivava da destra e sulla sinistra se la persona arriva da sinistra mi chiedo ma sella persona è sempre la stessa come faccio a sapere dove devo matterla grazie

Francesco ha detto...

ciao Carlo, vuoi dire che, di ogni persona, tu ricordi la prima volta in cui l'hai conosciuta ed hai memorizzato la direzione dalla quale veniva? Se è così è interessante... E' probabile che il tuo cervello applichi qualche altra submodalità per catalogare quella persona come "amica", "conoscente", "estranea" etc... Prova a vedere se noti differenze sulla grandezza delle immagini, sulla profondità (magari le persone alle quali sei legato le vedi più in primo piano) o ancora verifica la luminosità dei colori... Fammi sapere

Francesco ha detto...

"Le persone depresse o infelici che affermano di vivere un’esistenza caratterizzata dall’apatia e da pochi momenti di serenità, hanno probabilmente un sistema di rappresentazione mentale che li porta, inconsapevolmente e in modo piuttosto automatico, ad archiviare tutte le esperienze dolorose in modalità associata e tutte le esperienze piacevoli in modalità dissociata: in tal modo le esperienze spiacevoli condizionano in modo più evidente l’individuo, perché tutte le esperienze piacevoli, seppur presenti, sono rappresentate con una modalità che “smorza” le sensazioni positive ad esse associate."

MI HAI DATO UNA SPIEGAZIONE CHIARA DELLA MIA PERCEZIONE DELLA VITA. LA CERCAVO DA TEMPO, ANCHE SE NON SO QUANTO POTRO' O VORRO' CAMBIARLA.IL MASOCHISMO NON HA LIMITE!

GRAZIE

P.S. FINALMENTE UNO CHE PARLA DI PNL IN MODO UMANO, FLUIDO, NON CEMENTATO.

Francesco ha detto...

SE NON SO QUANTO POTRO' CAMBIARLA.

Come può la tua mente aiutarti a raggiungere un obiettivo se è la prima a credere che non sia possibile raggiungerlo? Devi convincenrti del contrario e cioè di poter cambiare la condizione nella quale vivi, altrimenti parti già sconfitto in partenza (leggi il post sulle "convinzioni" e quelli che seguiranno).
Inizia col ripeterti spesso e con convinzione: "io sono in grado di cambiare la mia condizione". E poi poniti mentalmente e frequentemente la domanda "come posso raggiungere una condizione di vita piacevole, migliore, serena, gratificante?". Quanto più ripeti mentalmente una domanda tanto più stimoli il cervello a trovare una risposta... e quindi una soluzione.

Ciao e grazie per i complimenti.

Francesco