venerdì 30 ottobre 2009

La perfezione: lo standard più basso


Uno dei limiti più grandi che ogni essere umano può frapporre tra e la propria realizzazione è l’idea di dover raggiungere la perfezione. La perfezione non esiste. Basta girarsi intorno, osservare il mondo, le persone e le cose che hanno realizzato per rendersi conto che la perfezione non esiste. Tutto potrebbe essere migliorato, non esiste qualcosa che è perfetto così com’è.

La “perfezione“ è un concetto vuoto, creato convenzionalmente dagli uomini e del quale spesso gli uomini si rendono schiavi. Quanti, nel momento in cui decidono di agire e di portare avanti una qualsiasi iniziativa, si ripropongono di farlo in modo perfetto? L’obiettivo a cui mirano è la perfezione e, quando si rendono conto di non averla raggiunta, cadono in depressione.

Sono tante le persone che decidono di dedicarsi ad un’attività progettando tutti gli aspetti nei minimi dettagli e creando nella propria mente lo scenario perfetto: indicano tutti i parametri che devono verificarsi affinché quell’attività venga considerata pienamente realizzata e quindi si rappresentano uno scenario di enorme successo, dove tutto dovrà filare liscio, dove tutti gli imprevisti dovranno essere risolti in breve tempo, dove non avranno bisogno di aiuti esterni, non avranno bisogno di scendere a compromessi con se stessi e con gli altri. Ma ad un certo punto si scontrano con la realtà; quella realtà che richiede di essere flessibili, elastici, di adattarsi alle mutevoli condizioni dell’ambiente e delle persone che lo vivono. E si rendono conto che quell’idea di macchina perfetta che avevano in mente non può realizzarsi. In molti casi ciò genera sconforto. L’esperienza reale viene vissuta come un fallimento. E invece di capire che l’errore sta nell’aver avuto come standard di riferimento l’idea (irrealizzabile) di perfezione, queste persone pensano di non essere adatte per quel genere di attività e magari rinunciano. E tutto questo soltanto perché un piccolo aspetto è andato diversamente da come lo avevano programmato e immaginato. Qualcosa non è andato liscio e allora, se le cose non vanno così come erano state preventivate, vuol dire che non si è portati per quel genere di attività, per cui è meglio rinunciare.

La “perfezione” è davvero il limite più stupido che possiamo auto-imporci. Si suole dire che la perfezione è lo standard di riferimento più basso che l’uomo possa avere, semplicemente perché è irraggiungibile: quindi cosa c'è di utile nel cercare di raggiungere qualcosa che, per definizione, non può essere raggiunta? E’ meramente inutile mirare ad agire in modo perfetto, ad ottenere risultati perfetti: puntare alla perfezione significa partire sconfitti in partenza, incamminarsi fin da subito lungo la strada della frustrazione e dell’insuccesso.

Fino a qualche anno fa ero caratterizzato da un’insoddisfazione cronica: non mi piaceva come vivevo, ciò che facevo, il modo in cui organizzavo la mia vita e mi rapportavo alle persone. E puntualmente almeno una volta al mese mi chiudevo nella mia stanzetta e scrivevo su un foglio di carta tutto ciò che volevo cambiare di me, tutto ciò che, a partire dal giorno dopo, avrei dovuto fare per considerarmi realizzato. Ciò che scrivevo sul mio foglio era ovviamente il ritratto del ragazzo perfetto. Scrivevo frasi del tipo: “da domani mi metterò a dieta, smetterò di fumare, farò attività fisica, dedicherò tante ore al giorno allo studio e così via...”. Quanto poteva durare il sacrificio di condurre una vita perfetta? Quattro, cinque giorni? Forse anche meno! Puntualmente già al terzo giorno sgarravo: qualcosa non andava nel modo in cui l’avevo programmata e ciò mi faceva sentire un fallito. Ma mi sentivo di aver fallito, non perchè avevo evitato tutte le attività che avevo pianificato, ma perché avevo eluso una (ed una sola!) di quelle attività! Bastava che rinunciassi per un giorno a fare sport o che riaccendessi una sigaretta per far saltare tutto il progetto. Il mio dialogo interno andava più o meno così: “ecco, anche questa volta ho saltato la palestra. Non ce la farò mai a cambiare, ad essere così come desidero essere”. Ovviamente ciò mi procurava una forte frustrazione, rinunciavo al mio progetto di cambiare e sprofondavo ancor di più nelle mie vecchie abitudini distruttive.

Il problema era tutto lì: l’aver posto come condizione di base che, nel momento in cui avessi deciso di cambiare, ciò doveva avvenire in modo perfetto. E’ sempre stata la perfezione lo standard a cui ho mirato ogni volta che ho deciso di fare qualcosa: è proprio questo il motivo per cui fino a qualche anno fa non sono riuscito a realizzare niente di ciò che desideravo e mi consideravo fallito e depresso.Ma la perfezione non esiste, è solo un concetto astratto creato dagli uomini, ed è pertanto irraggiungibile.

Cosa sarebbe accaduto se, invece di ripetermi di aver fallito perchè avevo riacceso una sigaretta, avessi detto a me stesso: “sarò anche caduto in tentazione, ma sono stato comunque tre giorni senza fumare e magari, se recupero un po di motivazioni, la prossima volta potrò evitare di fumare anche per 6 giorni. E anche se dovessi ricadere in tentazione, avrei comunque dimostrato a me stesso di poter resistere 6 giorni senza fumare e la prossima volta potrei fare anche di più”. Cosa sarebbe accaduto se mi fossi sforzato di cambiare la prospettiva, di cambiare punto di vista, cioè di cambiare il modo di interpretare gli eventi della mia vita? Non più “sono un fallito perché un solo particolare di ciò che avevo previsto è andato fuori posto”, ma al contrario “sto migliorando, perché 3 giorni fa facevo una vita peggiore. Ora invece, anche se non sto mettendo in pratica tutto ciò che mi sono proposto di fare, sto crescendo, cambiando, migliorando e questa è la cosa più importante”.

Ecco, lo standard che ti deve guidare non è l’idea di perfezione, ma quella di miglioramento. La cosa fondamentale è renderti conto che ciò che stai facendo oggi è un passo avanti rispetto a ciò che facevi ieri.L’idea della perfezione può esserti utile solo nel momento in cui riesci ad interpretarla come un obiettivo irraggiungibile, ma al quale hai il dovere di avvicinarti sempre di più. Ciò che deve spingerti non è il “diventare perfetto” o l’”agire in modo perfetto”, ma l’idea di avvicinarti sempre di più a quell’idea di perfezione attraverso un miglioramento lento e continuo. Vivi con la consapevolezza che non raggiungerai mai la perfezione, ma con lo stimolo ad avvicinarti sempre di più ad essa.

venerdì 23 ottobre 2009

Il quadrato dello splendore

Oggi presenterò una tecnica che consente di associare delle sensazioni positive a delle esperienze che normalmente ci fanno provare sensazioni spiacevoli. Ad esempio potresti usare questa tecnica per vincere la paura di parlare in pubblico o per provare un senso di tranquillità e rilassatezza nelle situazioni che normalmente ti mettono agitazione.

Supponiamo di dover fare qualcosa che ci procura paura (parlare in pubblico, fare un esame etc..). Come ben sai la paura non è qualcosa di tangibile e materiale, ma è soltanto uno stato mentale. La paura, come qualsiasi altra emozione, è una sensazione prodotta dal nostro cervello e pertanto risiede dentro di noi, non all’esterno della nostra persona. La paura non risiede nello stimolo esterno che ci fa paura, ma nella nostra mente. Infatti non è mai l’evento esterno in sè (ad esempio “il parlare in pubblico”) a farci provare paura, ma è il modo in cui noi interpretiamo quell’evento (cioè il significato che noi gli attribuiamo): accade che la nostra mente applica dei filtri ad ogni stimolo esterno e questi filtri attivano determinate sensazioni che possono essere più o meno piacevoli. Ma noi abbiamo il potere di cambiare i filtri attraverso i quali interpretiamo le nostre esperienze, in modo da associare a quest’ultime stati d’animo potenzianti e non più debilitanti. E’ ciò che cercheremo di fare con la cosiddetta tecnica del “quadrato dello splendore”.

Supponiamo di dover sostenere un esame e di provare una forte sensazione di disagio (ad esempio paura, preoccupazione o ansia). Ciò che faremo è: prendere la nostra rappresentazione interna che ci procura disagio, disassociarla da questa sensazione negativa e ancorarla ad una nuova sensazione potenziante (ad esempio potremmo associarla ad una sensazione di rilassatezza e di sicurezza nelle nostre capacità).

La prima cosa da fare è scegliere i 2 o 3 stati d’animo potenzianti che vogliamo provare quando vivremo quell’esperienza, al posto della sensazione di disagio. Supponiamo di scegliere la sicurezza, la rilassatezza e anche l’allegria (affrontare qualsiasi esperienza con un pizzico di allegria dà sempre dei vantaggi).
Ora attribuiamo ai 3 stati d’animo un colore diverso. Per comodità io assocerò il blu alla sicurezza, il bianco alla rilassatezza e l’arancione all’allegria, ma tu potrai scegliere i colori che più gradisci.
La prima parte dell’esercizio consiste nell’ancorare i tre stati d’animo potenzianti ai tre colori scelti. Operiamo nel modo seguente. Partiamo dalla sicurezza.

  • Mettiti in piedi, chiudi gli occhi e immagina che a un metro davanti a te si formi un quadrato i cui lati risplendono di blu (il colore che abbiamo associato alla sicurezza). Ora immagina di vedere la tua persona all’interno del quadrato che si sente molto sicura di sè. Quando viviamo delle esperienze in cui ci sentiamo sicuri delle nostre capacità, acquisiamo una postura e facciamo dei movimenti con il corpo compatibili con questo stato d’animo. Immagina pertanto che la tua figura all’interno del quadrato acquisisca la giusta postura e faccia i movimenti che tu associ alla stato d’animo di sicurezza. Non dimenticare anche di immaginare i lati del quadrato che risplendono di un blu lucente.
  • A questo punto fai un passo avanti ed immagina di entrare nel quadrato e di fonderti con la tua contro-figura che già era all’interno. Quest’operazione dovrebbe farti provare un improvviso senso di sicurezza. Ora immagina che i lati del quadrato risplendano ancora di blu e contemporaneamente immagina che dal pavimento esca un fumo blu che a poco alla volta sale verso l’alto. Immagina che questo fumo blu diventi sempre più denso, e quanto più si fa denso tanto più aumenta il tuo senso di sicurezza. Nel frattempo immagina di vivere in prima persona un’esperienza in cui ti senti sicuro: ad esempio potresti rivivere mentalmente una tipica situazione lavorativa nella quali ostenti sicurezza, oppure potresti immaginare di essere in mezzo agli amici (situazione in cui verosimilmente ti senti sicuro di te e della tua personalità). Cerca di rivivere quell’esperienza con molta intensità, riproducendo mentalmente delle immagini grandi, vivide, colorate e intense. Fai in modo che la sensazione di sicurezza invada completamente il tuo corpo. Mentre immagini di vivere un’esperienza che ti dà delle forti sensazioni di sicurezza, cerca di simulare dei gesti con il corpo e di acquisire le posture che normalmente avresti in quella situazione (ad esempio la postura associata alla sicurezza è caratterizzata dal petto in fuori, spalle drite, mento alto etc..). Ciò aiuterà il tuo corpo a rievocare lo stato d’animo di sicurezza. Tutto questo processo deve essere compiuto ponendo sempre attenzione ai lati blu del quadrato e al fumo blu che esce dal pavimento e che a poco a poco diventa sempre più denso e avvolge completamente il nostro corpo.
  • Dopo 3 o 4 minuti puoi riaprire gli occhi, fare un passo indietro uscendo dal quadrato e distrarti per una trentina di secondi. In pratica questa procedura ci ha permesso di rievocare lo stato d’animo della sicurezza (attraverso l’immaginazione e le posture del nostro corpo) e di ancorarlo al colore blu. Dobbiamo ripetere lo stesso processo anche per gli altri due stati d’animo.
  • Immagina quindi che davanti a te si riformi il quadrato, ma questa volta con i lati di colore bianco. Vedi la tua controfigura all’interno del quadrato che prova sensazioni di rilassatezza. Cerca di rievocare questo stato d’animo così come hai fatto per lo stato d’animo della sicurezza. Poi entra nel quadrato, ricongiungiti con la tua figura, inizia e pensare ad esperienze passate nelle quali ti sentivi tranquillo e rilassato, acquisisci la giusta postura e fai dei movimenti compatibili con questo stato d’animo. Contestualmente devi immaginare che dal pavimento esca un fumo bianco e che tale fumo diventi sempre più denso e abbondante al punto da avvolgere completamente il tuo corpo.
  • Terminato il processo distraiti e poi ripetilo per ancorare lo stato d’animo dell’allegria al colore arancione.
  • L’ultima parte dell’esercizio ci permetterà di ancorare all’esperienza che ci genera disagio (sostenere l’esame) i tre stati d’animo di sicurezza, rilassatezza e allegria in modo tale che vivere (o pensare di vivere) quell’esperienza ci faccia provare automaticamente queste sensazioni potenzianti.
  • Ecco come operare: immagina che il tuo quadrato si riformi davanti a te. Questa volta immagina i 3 lati del quadrato di 3 colori diversi (bianco, blu e arancione). Ora fai un passo avanti e entra nel tuo quadrato. Immagina di vivere l’esperienza che ti procura disagio (nel nostro esempio bisognerà immaginare di sostenere l’esame) e contemporaneamente immagina che dal pavimento escano dei fumi di colore blu, bianco e arancione. Man mano che esce il fumo blu aumenta la tua sicurezza. Quando esce il fumo bianco aumenta il tuo senso di rilassatezza e quando esce il fumo arancione sei invaso da una sensazione di allegria. La sensazione finale che devi provare è un mix tra i tre stati d’animo. Man mano che i fumi diventano più densi, le tue sensazioni diventano sempre più piacevoli. Continua ad immaginare di vivere l’esperienza che ti procurava disagio e fallo facendo scorrere nella tua mente una sorta di film di quella esperienza caratterizzato da immagini grandi, vivide e colorate. E mentre immagini e simuli gesti e posture con il tuo corpo, poni attenzione ai fumi bianco, blu e arancione che escono dal pavimento e avvolgono il tuo corpo. Questi fumi colorati ti fanno provare delle sensazioni piacevoli che il tuo cervello associa all’esperienza che sta immaginando. Noterai come la tua esperienza non ti procuri più sensazioni di disagio, perché i fumi colorati presenti all’interno del tuo quadrato ti fanno provare solo sensazioni di sicurezza, rilassatezza e allegria. A poco alla volta l’esperienza che prima ti procurava disagio viene ancorata a questi nuovi stati d’animo potenzianti e diventa piacevole da essere immaginata e vissuta. Continua questo esercizio per qualche minuto. Poi come fatto in precedenza, fai un passo indietro uscendo dal quadrato e distraiti.

Terminato l’esercizio, puoi provare a ripensare a quell’esperienza che ti procurava disagio. Se l’esercizio è stato effettuato correttamente, non dovresi provare più disagio ma sensazioni di sicurezza, rilassatezza e allegria. Puoi ripetere l’esercizio per più giorni per rafforzare l’ancoraggio delle nuove sensazioni alla tua esperienza. Ottimi risultati si possono avere combinando la "tecnica del cinema" presentata nel post del 22 giugno 2009, con la tecnica del "quadrato dello splendore". Io di solito applico prima la tenica del cinema per disassociare sensazioni spiacevoli da un’esperienza e poi applico la tecnica del quadrato per ancorare sensazioni positive.

domenica 18 ottobre 2009

Cambiare le proprie abitudini con lo swish

Oggi presenterò una tecnica di PNL molto nota che prende il nome di “swish” (spesso tradotta in italiano con i termini "scatto" o "scozzata"). E’ utile per cambiare abitudini sbagliate e piccoli comportamenti controproducenti. Ad esempio può essere utilizzata per alzarsi dal letto al primo suono della sveglia (invece di spostarla in avanti per diverse volte), per perdere l’abitudine di mangiarsi le unghie, per ricordarsi di allacciare la cintura non appena si entra in automobile e comunque in tutte quelle situazioni in cui si ritiene più utile acquisire un nuovo comportamento o sostituire una vecchia abitudine improduttiva con una più potenziante.

Quando parliamo di abitudini facciamo riferimento ad una sequenza di azioni che abbiamo fatto così tante volte che ormai si è radicata nella nostra mente (al punto che risulta difficile modificarla). In effetti accade proprio che, quando ripetiamo più volte una serie di azioni, si formi all’interno del nostro cervello una traccia nella quale è codificata quella sequenza di azioni che abbiamo compiuto. Si tratta proprio di una traccia fisica che - se non ricordo male - prende il nome di traccia mnestica. E quante più volte ripetiamo la stessa sequenza di azioni, tanto più quella traccia diventa marcata. Cosicchè, quando si verifica il primo stimolo di quella sequenza di azioni, gli impulsi elettrici del nostro cervello si dirigono più facilmente verso la traccia più marcata, generando così la stessa sequenza di azioni che costituisce il nostro comportamento abitudinario. Questo meccanismo diventa un circolo vizioso, perché più ripetiamo il nostro comportamento abitudinario più la traccia che lo codifica si accentua e più diventa difficile costringere il nostro cervello a seguire altre vie (cioè a modificare quell’abitudine).

E’ un meccanismo che ha ovviamente la sua utilità: infatti ci permette di effettuare delle operazioni in modo automatico, senza dover elaborare diversi stimoli esterni ogni volta che dobbiamo decidere come agire.
Si pensi ad una persona che impara a suonare il pianoforte. I primi tempi saranno particolarmente critici perché le dita non riusciranno a muoversi agilmente sulla tastiera. Grazie alla ripetizione dei movimenti creerà delle tracce sempre più marcate, fino ad arrivare al punto in cui riuscirà a suonare dei brani complessi senza nemmeno prestare attenzione ai tasti che sta pigiando. E questo grazie al fatto che la continua ripetizione di determinati esercizi ha lasciato una traccia all’interno del suo cervello che guida le sue azioni in modo automatico.

Quindi qual è il modo per cambiare un’abitudine che noi riteniamo negativa o controproducente? In base al ragionamento fatto poc’anzi è sufficiente creare una traccia alternativa che codifichi il nuovo comportamento potenziante e che sia più marcata della traccia nella quale è codificata la vecchia abitudine. In questo modo, quando ci troveremo di fronte al primo stimolo, gli impulsi del nostro cervello seguiranno la nuova traccia attivando il nuovo comportamento. Ciò permetterà di rendere la nuova traccia sempre più marcata e di fare in modo che la vecchia traccia vada via via sparendo.

Ma come possiamo creare una nuova traccia in poco tempo e senza dover agire materialmente? Lo faremo utilizzando l’immaginazione. Del resto, se segui il blog da diverso tempo, avrai più volte potuto constatare di come la nostra mente non faccia differenza tra esperienze realmente vissute ed esperienze immaginate in modo vivido e preciso. In questo post trovi un esperimento che dimostra quanto ho appena affermato. Ricorreremo quindi all'immaginazione per radicare il nostro nuovo comportamento potenziante.


La tecnica dello swish si applica nel modo seguente:

  • Pensa al comportamento che vuoi cambiare e immaginatelo mentalmente come un film, in modo associato, con colori vividi e con immagini grandi e centrate. Ad esempio supponiamo che tu voglia smettere di mangiarti le unghie: potresti immaginarti in prima persona (cioè in modo associato) mentre porti la tua mano alla bocca e dai un morso ad un'unghia.
  • Ora immagina che nell’angolino in basso a destra del tuo film ci sia uno schermo molto piccolo nel quale scorrono, in bianco e nero e in modo dissociato, le immagini del nuovo comportamento. Nel nostro esempio potresti vedere la tua persona dall’esterno (quindi in modo dissociato) che mette la mano in tasca prima di aver morso le unghie, in modo da imprimere un nuova direzione alla vecchia abitudine.
  • La tecnica consiste nel far scorrere il film della vecchia abitudine fino ad un attimo prima in cui si verifica l’azione che vogliamo modificare. In quel momento devi immaginare di espandere il piccolo schermo che si trova nell’angolo in modo che invada lo schermo principale e ne assuma tutte le submodalità (posizione, grandezza, colori vividi...). Mentre fai questa operazione ripeti la parola “swish”. Da quel momento in poi il film mentale continua con la nuova sequenza di azioni, cioè quella che avevamo rappresentato nel nostro schermino posto nell’angolo in basso a sinistra. Nell’esempio in cui vogliamo correggere l’abitudine di mangiare le unghie, ci immagineremo in prima persona fino al momento di portare le mani alla bocca. In quell’istante effettueremo lo swish espandendo il piccolo schermo e da quel momento vivremo mentalmente l’esperienza di abbassare il braccio e mettere la mano in tasca.

Ogni volta che ripetiamo la tecnica appena descritta rendiamo la relativa traccia un po’ più marcata. Come detto l’obiettivo è quello di fare in modo che la traccia relativa al nuovo comportamento sia più marcata di quella relativa al vecchio. Quindi la sequenza va ripetuta tante volte, più volte al giorno ed eventualmente per più giorni (a seconda di quanto è radicato il vecchio comportamento). Un aspetto da tener presente per la riuscita della tecnica è la velocità: bisogna effettuare lo swish (il passaggio dalle vecchie alle nuove immagini) con una velocità crescente, fino a quando la sostituzione non sarà effettuata in modo quasi istantaneo. Ovviamente bisogna immaginare con una certa intensità e partecipazione: fare l’esercizio distrattamente non servirà a molto. In conclusione la tecnica va ripetuta più volte, con maggiore intensità ed aumentando il più possibile la velocità, fin quando il nuovo comportamento non sarà acquisito del tutto.

Se risulta più comodo, invece di rappresentare il nuovo comportamento in uno schermino in basso a sinistra, si può immaginare che, nel momento dello swish, le immagini del vecchio comportamento si rimpiccioliscano fino a sparire sul fondo del nostro campo visivo e contestualmente le immagini del nuovo comportamento “emergano” dalle vecchie, ingrandendosi sempre di più e prendendo il loro posto.

martedì 13 ottobre 2009

Interrompere i moduli che ci procurano stati d'animo negativi

Negli ultimi post abbiamo parlato di strategie per riprodurre stati d’animo potenzianti. Abbiamo visto come ognuno di noi disponga di una ricetta per provare motivazione, gioia, amore, gratitudine etc... Nello specifico l’obiettivo degli ultimi post è stato individuare le sequenze di stimoli che ci consentono di riprodurre la "motivazione", cioè lo stato d’animo che ci spinge ad agire. Ma come esistono delle ricette che ci permettono di provare stati d’animo potenzianti, così esistono sequenze particolari di stimoli che ci fanno provare stati d’animo depotenzianti, dolorosi o comunque negativi. La condizione ideale di ognuno di noi è trovarsi sempre in uno stato d’animo piacevole o potenziante e rifugire il più possibile dagli stati d’animo negativi e dolorosi.

Ma allora se abbiamo individuato gli shortcut che ci inducono stati d’animo potenzianti e piacevoli, perché non ci sforziamo anche di NON riprodurre più quelle sequenze che invece ci mettono in uno stato d’animo di dolore?
La chiave è sempre lo stessa: individuare le sequenze di segnali visivi, uditivi e cinestesici (sia interni che esterni) che, quando vengono ripetute, ci fanno provare ansia, preoccupazione, paura, insofferenza, apatia, insoddisfazione, nervosismo, depressione e tutte le sensazioni spiacevoli che vogliamo evitare.
Se nel caso degli stati d’animo potenzianti ci impegnavamo ripetere quelle sequenze per riprodurre sensazioni positive, nel caso degli stati d’animo depotenzianti faremo di tutto per non portare a termine quelle ricette, cioè per interrompere quella sequenza di stimoli prima che sia portata a compimento. Parliamo in questo caso di una interruzione di modulo, intendendo per modulo quella precisa sequenza di segnali che ci induce uno stato d’animo dal quale vogliamo rifugire.

Ma come procediamo praticamente? Il trucco sta nel capire, nel momento in cui ci troviamo in uno stato d’animo negativo, qual è stata l’esatta sequenza di stimoli che ci ha indotto quel determinato stato d’animo.
Supponiamo che io mi senta particolarmente arrabbiato. Mi chiedo: per quale motivo sto provando questo stato d’animo? Cosa è dovuto accadere per fare in modo che io abbia provato rabbia? Ad esempio potrei scoprire che, nell’ordine:

  • Ho preso appuntamento con un amico e mi sono recato sul luogo dell’appuntamento in orario.
  • Il mio amico non era presente sul luogo dell’appuntamento e dopo 10 minuti di ritardo ho provato a chiamarlo, ma lui non ha risposto al telefono.
  • Lui mi ha richiamato dopo 20 minuti dicendomi che sarebbe arriato di lì a poco.
  • Io gli ho chiesto il motivo del suo ritardo e lui mi ha risposto in modo piccato, senza nemmeno chiedermi scusa.
  • Ciò mi ha fatto provare insofferenza e quindi ho iniziato ad attaccarlo telefonicamente.
  • Lui ha continuato a portare avanti le sue motivazioni, dicendo anche che “lui aveva da fare cose importanti e che in fondo 20 minuti di attesa non erano tanto gravi”.
  • Ciò ha amplificato ancora di più il mio stato di insofferenza fino a farmi provare rabbia, al punto di sbraitare e mandarlo a quel paese.

Ecco una precisa sequenza di segnali che, se dovesse ripetersi per altre mille volte, mi genererebbe lo stesso stato di rabbia per altrettante volte.

Ora in una situazione del genere la maggior parte delle persone sarebbe portata ad attribuire la rabbia alla persona che non ha rispettato gli impegni. La classica espressione che ricorre in queste situazioni è: “quella persona mi ha fatto proprio arrabbiare!” oppure “per colpa sua ora sono incazzato nero”, quasi come se quella persona ci avesse trasferito la rabbia attraverso un incantesimo e noi l’avessimo accolta senza poterci opporre. In realtà nessuna persona ha il potere di farci arrabbiare (o di renderci felice), ma al contrario è la sequenza di stimoli (esterni ed interni) e il significato che noi attribuiamo ad essi che fa in modo che il nostro cervello attivi la “reazione chimica” della rabbia. In altre parole se siamo arrabbiati, la responsabilità non è di un'altra persona, ma del significato che noi stessi attribuiamo a determinati segnali, i quali, ripetuti in una certa sequenza, dicono al nostro cervello di attivare lo stato d’animo della rabbia. Quindi ogni nostra sensazione è sempre sotto la responsabilità e l’assoluto controllo della nostra mente. Ne consegue che, se è il nostro cervello che attribuisce il significato agli eventi eserni e, in funzione di tale significato, produce determinate sensazioni, allora noi abbiamo in ogni momento il potere di interrompere tale sequenza di stimoli (o di cambiare il significato che attribuiamo loro), in modo da evitare le sensazioni dolorose.

Ogni volta che ci troviamo a vivere uno stato d’animo negativo, dovremmo fare tesoro di quell’esperienza e trarne un insegnamento: nell’esempio riportato poc’anzi, ho scoperto una ricetta che mi fa arrabbiare e posso quindi riconoscerla appena torna a verificarsi. E se me ne accorgo in tempo, posso interromperla in qualsiasi momento, prima che venga portata a compimento. In questo modo eviterò di provare uno stato d’animo finale altamente debilitante che tra l’altro ha anche degli effetti molto negativi sul nostro stato di salute (magari più in là parleremo di quanto gli stati d’animo negativi possano influire sul nostro stato di salute fisica).

Così so che, la prossima volta che il mio amico mi chiederà un appuntamento, potrò fin da subito chiedergli di passare per casa mia, in modo da non rischiare di trovarmi ad aspettare in mezzo alla strada per diverso tempo. Avrò interrotto la ricetta al primo punto e non avrò provato rabbia. Oppure potrò aspettare 10 minuti in strada e poi mandargli un messaggio dicendogli che l’appuntamento è rimandato: avrò interrotto la sequenza al secondo punto e non avrò provato rabbia. Oppure potrei prima tentare di telefonargli e, nel caso in cui lui non dovesse rispondermi, potrei decidere di andare via: avrò interrotto la sequenza al terzo punto. Magari già a questo punto della sequenza potrei essere risentito, ma non sarò ancora sprofondato in uno stato di vera e propria rabbia. Oppure potrei attendere che lui mi richiami e ascoltare le sue giustificazioni. A questo punto, invece di reagire, potrei interrompere il suo modulo (oltre ad interrompere i nostri moduli possiamo in qualsiasi momento interrompere anche quelli degli altri) dicendogli: “caro amico, io so che se continui a dirmi queste cose mi arrabbierò. Se invece mi chiedi scusa non proverò rabbia e possiamo incontrarci evitando di mandarci a quel paese”. Magari questa affermazione inaspettata potrebbe generare nel mio amico un’interruzione del suo modulo e lui potrebbe riconoscere il suo errore. A quel punto avrò interrotto non solo il suo, ma anche il mio modulo al quarto punto… e non sarò arrivato a mangiarmi il fegato.

Ciò che voglio farti capire è che, quando sai come funzionano le tue personalissime ricette che ti permettono di entrare in un determinato stato d’animo doloroso, in ogni momento puoi decidere di interromperle, evitando di provare sensazioni spiacevoli.

Ripeto, la maggior parte delle persone crede che gli stati d’animo siano qualcosa che capiti all’improvviso, senza un motivo reale. Molti pensano di sentirsi arrabbiati, offesi o preoccupati e che non possono farci nulla. In realtà è accaduto qualcosa di ben preciso per entrare in quello stato d’animo. Ma quando non si ha consapevolezza di questo meccanismo, le persone procedono continuamente (e a volte ossessivamente) a ripetere le stesse sequenze di stimoli (che producono ovviamente le stesse sensazioni depotenzianti) quando invece basterebbe interrompere quella sequenza un attimo prima che attivi quello stato d’animo. C’è da chiedersi: perché arrivare a provare sensazioni molto dolorose quando si ha la possibilità di cambiare direzione un attimo prima che si attivi quello stato d’animo?

I litigi che spesso accadono tra una coppia di partner, spesso sono dovuti alla ripetizione ostinata di precisi moduli. Tutto può partire da un segnale, come ad esempio una frase ripetuta sempre con le stesse parole e con lo stesso tono. Ad esempio lei chiama al telefono il suo partner ed esclama: “dovevi chiamarmi e non lo hai fatto, sei sempre il solito e non cambierai mai!”. E nel partner questo segnale genera subito uno stato di irritazione che lo induce a rispondere sempre nello stesso modo. Per cui lui ribatte: “ma credi che io perda tempo? ho tante cose da fare, mica come te che non fai niente dalla mattina alla sera...”. E questo stimolo attiva una serie di processi a catena che poi inevitabilmente degenerano in un litigio colossale. E la cosa assurda è che il giorno dopo tutto questo si ripete nello stesso modo: stessa frase, stessa risposta, stessa sequenza di stimoli e ovviamente stesso esito finale. Perché moduli uguali danno sempre risultati uguali. Ma l’intenzione iniziale non era quella di litigare. La donna probabilmente, facendo quella prima esclamazione, chiedeva solo affetto e non intendeva attaccare il partner. Ma quella frase, detta in quel modo e con quel tono, ha rappresentato per lui uno shortcut, uno stimolo che gli ha immediatamente generato uno stato d’animo di irritazione che è rapidamente degenerato. Ora semplicemente riflettendo sulla sequenza che ha generato il litigio, la coppia potrebbe trovare il sistema di interrompere il modulo prima ancora che venga attivato. Ad esempio la donna potrebbe provare a cambiare il tono e il messaggio del primo segnale, cioè della prima frase pronunciata. E così invece di esclamare in tono piccato “dovevi chiamarmi e non lo hai fatto!”, potrebbe usare un tono gentile e dire: “amore lo so che sei stato impegnato, ma tu sai che io ho bisogno di sentirti. Come possiamo fare in modo che tu possa chiamarmi più spesso?”. Non sarebbe un segnale completamente diverso che porterebbe ad un esito completamente diverso? E’ veramente inutile ripetere gli stessi moduli che finiscono sempre con il generarci stati d’animo dolorosi e depontenzianti, quando invece in ogni istante possiamo decidere di interrompere quel modulo e imprimergli una nuova direzione che porterebbe vantaggi per tutte le persone coinvolte in quel processo.

giovedì 8 ottobre 2009

Amplificare la motivazione operando sulle submodalità

Riprendo il discorso degli ultimi due post aggiungendo ancora qualche particolare al concetto degli shortcut. In pratica ti ho spiegato come determinate sequenze di stimoli interni ed esterni possano indurti rapidamente un certo stato d’animo. Inoltre hai preso consapevolezza di come il tipo e la qualità delle azioni che compi dipende esclusivamente dallo stato d’animo nel quale ti trovi. Di conseguenza ogni volta che vuoi agire in un certo modo puoi applicare uno shorcut che ti procuri lo stato d’animo utile per agire in quel determinato modo.

Ora vediamo in dettaglio quali sono questi stimoli interni ed esterni che, se applicati nella giusta sequenza, ci permettono di recuperare un determinato stato d’animo.
Gli stimoli possono essere di tre tipi: visivo, uditivo e cinestesico. Ognuno di questi stimoli, può essere interno o esterno. E' interno uno stimolo che creiamo mentalmente. E' esterno uno stimolo che percepiamo attraverso i nostri 5 sensi.

Ad esempio uno stimolo visivo interno è un’immagine che costruiamo nella nostra mente. Uno stimolo visivo esterno è un’immagine che vediamo effettivamente con i nostri occhi. Uno stimolo cinestesico esterno è una qualsiasi sensazione che proviamo con i sensi del gusto, dell’olfatto o del tatto. Uno stimolo uditivo esterno è un suono che ascoltiamo con le nostre orecchie, mentre un uditivo interno è un suono o una frase che immaginiamo mentalmente. Ti invito a rileggere i post sulle submodalità se non hai dimestichezza con i concetti legati alle modalità visive, uditive e cinestesiche. Sugli stimoli uditivi possiamo fare un’ulteriore distinzione tra stimoli digitali e stimoli tonali. Gli stimoli digitali sono quelli in cui ha rilevanza il significato delle parole di una determianta frase. Gli stimoli tonali sono quelli in cui ha rilevanza il tono con cui viene pronunciata una frase. Ad esempio delle parole dette con un certo tono possono indurci uno stato d’animo diverso a prescindere dal loro significato effettivo. Immagina che qualcuno ti dica “sei proprio uno stupido”: a seconda del tono con cui è pronunciata, questa frase può farti arrabbiare o sorridere (se per esempio è detta in tono giocoso o ironico).

Quindi quando cerchiamo di individuare le nostre ricette per riprodurre uno stato d’animo (gli shortcut) facciamo attenzione al tipo di segnali che si ripetono in sequenza (visivo, uditivo, cinestesico) e se si tratta di segnali interni o esterni.
Ricordi l’esempio del penultimo post che riguardava la persona che voleva mettersi a dieta e riusciva a motivarsi guardandosi allo specchio? In quel caso avevo ipotizzato una precisa sequenza di stimoli così composta:

  • La persona si guardava allo specchio: segnale visivo esterno – V[e]
  • Poi si girava e si osservava di profilo: segnale visivo esterno – V[e]
  • Poi si immaginava mentre saliva le scale affannato: un segnale visivo interno (V[i]) più un segnale cinestesico interno C[i] (sensazione di affanno)
  • Poi diceva mentalmente “ora basta, devo dimagrire”: segnale uditivo interno digitale U[id] (e probabilmente anche tonale se quella frase era pronunciata con un tono particolare).

In questa strategia per riprodurre lo stato d’animo di motivazione, quella persona ha applicato una precisa sequenza di segnali: V[e] – V[e] – V[i] – C[i] - U[id]. Ora è questa la giusta sequenza che gli genera quello stato d’animo ed il suo cervello risponderà a questa precisa sequenza attivando sempre lo stesso stato di motivazione.

Ma una volta che siamo in possesso della natura dei segnali, possiamo provare ad amplificarli in modo da ottenere un risultato migliore e più rapido. Infatti sappiamo dalla PNL che le sensazioni connesse ad un’immagine mentale si amplificano se rendiamo quell’immagine più grande, più luminosa e se avviciniamo quell’immagine. Analogamente cambiando il volume o l’intensità di un segnale uditivo, possiamo modificare le sensazioni ad esso collegate. Allora se hai già individuato alcune sequenze di segnali che ti inducono un certo stato d’animo, prova a modificarne le submodalità e verifica se tali variazioni ti permettono di amplificare lo stato d’animo finale. Se non hai ancora familiarità con i concetti di submodalità ti invito a rileggere i post che ne parlano.

Nell’esempio della motivazione per mettersi a dieta, la persona potrebbe scoprire che il segnale visivo interno di visualizzarsi affannato per le scale potrebbe amplificargli lo stato d’animo di motivazione se l’immagine stessa fosse più luminosa o posizionata diversamente nel suo campo visivo mentale. Quindi se abbiamo una ricetta che ci crea una certa motivazione, giochiamo con le submodalità dei segnali interni, in modo da ottenere una combinazione finale ancora più potente, cioè una combinazione che, se ripetuta, ci dia lo stato d’animo che desideriamo con maggiore intensità.

Se abbiamo scoperto una ricetta che ci stimola ad agire, ma non è poi così motivante come la vorremmo, allora facciamo dei tentativi aggiungendo segnali visivi, uditivi e cinestesici interni ed esterni che ci aiutino ad amplificare quella sensazione finale. Ad esempio il nostro uomo in sovrappeso, ripetendo la sua sequenza di segnali, potrebbe non sentirsi così motivato. Allora potrebbe decidere di aggiungere arbitrariamente qualche segnale uditivo interno, come ad esempio la voce della persona che ama che gli dice di aver perso completamente la stima nei suoi confronti (in modo da aggiungere un ingrediente alla ricetta che amplifichi il dolore per la sua situazione contingente). O ancora potrebbe aggiungere un ulteriore segnale visivo che lo spinga ad immaginarsi atletico e scattante una volta che avrà raggiunto il peso forma, in modo da amplificare la sensazione di piacere connessa all’ottenimento del risultato.

In fin dei conti questa sequenza di stimoli interni ed esterni, non deve far altro che riprodurre in modo rapido e diretto, il meccanismo della leva dolore/piacere che abbiamo più volte descritto in passato. Del resto questi shortcut servono per provare in modo automatico una forte sensazione di dolore per la condizione nella quale ci troviamo e una forte sensazione di piacere per la condizione futura che otterremo. Solo in questo modo riusciremo a riprodurre lo stato d'animo di motivazione che ci spinge ad agire.

Vedrai che, con un po' di pratica, non troverai difficile individuare delle sequenze di stimoli in grado di conferirti forti motivazioni: tutto sta nell’individuarle, facendo esperimenti su sequenze che già in qualche modo ti stimolano ad agire e lavorando sulle submodalità e sui segnali interni in modo da creare una sequenza di segnali altamente efficiente: una ricetta che, se ripetuta in modo preciso, non può che metterti nell’opportuno stato d’animo che ti consente di agire.

sabato 3 ottobre 2009

Gli shortcut della nostra mente

In questo post farò ulteriori precisazioni sull’argomento introdotto nell’ultimo articolo. Ti ho parlato di precise sequenze di stimoli (che ho chiamato “ricette”) che generano uno stato d’animo e ti ho spiegato che, ogni volta che ripetiamo queste ricette, riusciamo ad indurci automaticamente quel determinato stato d’animo. In particolare ho fatto riferimento a delle precise strategie per indurci una forte motivazione che ci consenta quindi di dedicarci con costanza e metodo ai nostri obiettivi.

Ma se ricordi bene, in uno degli ultimi post, avevo parlato di una strategia motivazionale incentrata sull’analisi razionale degli aspetti negativi connessi al “non agire” e degli aspetti positivi legati all’azione. In pratica avevo spiegato come ogni volta che siamo motivati (e quindi ogni volta che agiamo) si verifica nel nostro cervello un processo che consente di associare dolore al nostro “stato di immobilismo” e piacere all’idea di agire per raggiungere la meta.
Nell’ultimo post invece ti ho chiesto di individuare una precisa ricetta che ti consenta di recuperare quasi istantaneamente lo stato d’animo di motivazione senza riflettere approfonditamente sul dolore connesso al “non agire“ e sul piacere dell’azione. Allora sto parlando di due processi diversi o alternativi? No, sto parlando della stessa cosa: sto sviluppando lo stesso concetto, ma lo sto affrontando da due prospettive diverse in modo da renderlo più comprensibile.

Cerco di fare un po’ di ordine. Ormai è chiaro che agiamo nel momento in cui il dolore per la situazione contingente supera il limite di sopportazione e (alternativamente o contestualmente) il piacere per la condizione futura diventa particolarmente allettante. Ma quando ci sottoponiamo ad una sequenza di stimoli esterni ed interni che ci spingono ad agire, stiamo praticamente applicando lo stesso processo: aumentiamo volutamente il dolore per la condizione contingente e/o aumentiamo il piacere per la condizione potenziale. Chiariamo il tutto con l'immancabile esempio.

Nel post precedente ho descritto il caso di una persona che, una bella mattina, decide di mettersi a dieta. In quell’esempio ho elencato una serie di stimoli che avevano creato una forte motivazione in quella persona: guardasi allo specchio, girarsi di profilo facendo aumentare il proprio disappunto, immaginarsi affannato mentre sale le scale e infine esclamare mentalmente una determinata frase. Questo processo, a pensarci bene, non è altro che una sequenza di stimoli che ha generato dolore per la condizione nella quale quella persona si trova. Infatti nel momento in cui quella persona si guarda allo specchio e prova disappunto, non sta facendo altro che provare dolore per il suo aspetto fisico. Quando si immagina affaticato per le scale, non fa altro che provare dolore per quella che sarà la sua condizione futura qualora dovesse continuare ad ingrassare. Invece di un’analisi a tavolino di tutti gli aspetti negativi connessi alla condizione contingente, sono stati sufficienti due o tre stimoli mirati per raggiungere quella determinata soglia di dolore che ha fatto “scattare” lo stato d’animo di motivazione. Quindi, quando parlo di individuare una ricetta che ti consenta di guadagnare rapidamente uno stato di motivazione, ti sto solo suggerendo di individuare una sequenza di stimoli che ti permetta in modo più veloce e pratico di associare dolore alla tua condizione contingente e piacere alla condizione che raggiungerai una volta che avrai portato a compimento il tuo obiettivo.

Allora quale sistema utilizzare per ottenere una forte motivazione che ci spinga a perseguire fino in fondo i nostri obiettivi? E’ evidente come il processo analitico che ti ho invitato a fare nel post del 15 settembre sia molto potente. Infatti, se hai eseguito correttamente l’esercizio, avrai scritto su un foglio tutti gli aspetti dolorosi che comporterebbe il rimanere ancorato alla tua situazione contingente. Ti ho chiesto di elencare le conseguenze negative che il permanere in uno stato di inattività avrebbe avuto sulla tua autostima, sugli aspetti fisici, emotivi e spirituali. Contestualmente ti ho chiesto di descrivere tutto il piacere che deriverebbe dal raggiungere gli obiettivi: hai scritto tutte le conseguenze positive che otterrai dal punto di vista materiale e spirituale, hai descritto il senso di gioia e di soddisfazione che ne conseguirà, hai toccato con mano il piacere di sentirti realizzato e le conseguenze positive che tale realizzazione avrebbero su di te e sulle persone a te vicine. Intuisci quindi come svolgendo correttamente questo esercizio (intendendo con ciò soprattutto la capacità di immedesimarti in ciò che hai descritto, cioè di provare veramente quel dolore e quel piacere) puoi davvero generare in te un forte stato di motivazione.
Ma al tempo stesso mi rendo conto che, una volta che quella motivazione va smorzandosi con il tempo, non è facile decidere arbitrariamente di riprendere in mano il foglio che contiene quella serie di osservazioni e rileggerlo con partecipazione, immaginando tutto il dolore di rimanere inattivi e tutto il piacere connesso al raggiungimento degli obiettivi. Perché, come spiegato ampiamente nell’ultimo post, ogni nostra azione dipende dallo stato d’animo nel quale ci troviamo. E allora se stai guardando un film in TV e ti trovi in uno stato d’animo di apatia, come potresti mai immaginare di trovare la forza di andare a recuperare il foglio dell’"esercizio dolore/piacere" e rileggerlo cercando di generare in te lo stato d’animo di motivazione? Evidentemente lo stato di apatia nel quale ti trovi avrà il sopravvento e dirigerà le tue azioni in modo diverso. Che tu ti senta apatico, stanco o insoddisfatto, non troverai mai la forza di alzarti, metterti alla scrivania e rileggere il foglio in cui ha elencato tutto il dolore che deriverà dal continuare a rimanere inattivo. Ecco quindi che, per recuperare istantaneamente la motivazione, hai bisogno di una strategia più veloce: hai bisogno di individuare quella giusta sequenza di stimoli interni ed esterni che ti inducono motivazione. In questo caso diventa utilissimo individuare ed applicare quelle famose ricette rapide di cui ho parlato nell’ultimo post. E sono tanto più efficaci, quanto più queste ricette sono basate su stimoli interni (cioè su sequenze precise di pensieri). E questo perché ognuno di noi non può smettere di pensare, in qualsiasi stato d’animo nel quale si trova: la nostra mente è sempre attraversata da pensieri, sia che siamo depressi, sia che siamo euforici. La differenza sta nel tipo di pensieri, nel senso che chi è depresso vede più frequentemente nella sua mente delle immagini che gli causano dolore e chi è gioioso pensa a qualcosa che gli dà piacere. Ma sempre di pensieri si tratta, cioè di immagini, suoni e sensazioni che si costruiscono all’interno della nostra mente. E poiché siamo noi a gestire la nostra mente (e non viceversa) abbiamo sempre il potere di dirigere questi pensieri nel modo a noi più conveniente. Allora anche se ci troviamo in uno stato d’animo di apatia, non ci costa davvero nulla iniziare a pensare ad altro.

Così quella persona che voleva dimagrire può volutamente immaginarsi affaticata per le scale oppure di fronte ad uno specchio mentre prova disappunto. Perché sa già che questa sequenza di immagini ha già funzionato una volta. E quanto più ripeterà in modo preciso quella sequenza di pensieri che ha già dato dei risultati, tanto più noterà magicamente un cambiamento repentino di stato d’animo: ed ecco che la motivazione inizierà a scorrere nel suo organismo. E dopo un po’ non potrà fare a meno di chiedersi: “ma cosa diavolo ci faccio ancora davanti alla TV?”. E non saprà resistere alla tentazione di spegnere il televisore e magari andare a fare trenta minuti di corsa nel parco, in modo da perseguire il suo obiettivo originario di dimagrire.

Se poi una volta che hai messo in moto il meccanismo che attiva la “motivazione” ti concedi anche cinque minuti per rileggere il tuo esercizio del dolore/piacere già svolto in passato, allora davvero non ci sarà nulla che possa impedirti di dedicarti al tuo progetto.

Ma perché questo processo funziona? Perché il nostro cervello tende sempre a semplificare. Se il cervello dovesse, ogni volta che è sottoposto ad uno stimolo esterno, effettuare una valutazione minuziosa di quello stimolo per decidere come “reagire”, spenderebbe tantissime risorse. E’ facile intuire come la nostra vita diventerebbe invivibile se, anche per un’azione stupida come alzarsi per fare una telefonata, il nostro cervello dovesse applicare un processo analitico complesso per valutare quali sono gl svantaggi connessi al non agire e i vantaggi connessi all’agire. Negli anni abbiamo quindi creato una sorta di “scorciatoie”, cioè strumenti che permettono al nostro cervello di fare delle valutazioni istantanee. Chi mastica un po’ di informatica sa cosa si intende con il termine “shortcut”: sono delle combinazioni di tasti che, se applicate, ci permettono di fare delle operazioni complesse. Ad esempio per fare il “copia e incolla” di un testo da un’applicazione puoi premere Ctrl-C invece di effettuare un’operazione più laboriosa accedendo a vari menu con il mouse. Così anche il nostro cervello ha degli shortcut, ossia delle combinazioni di segnali che attivano rapidamente uno stato d’animo. Ciò serve al nostro cervello per reagire rapidamente ad ogni contesto, senza perdere tempo in complesse elaborazioni delle informazioni che riceve. Questi shortcut sono quindi dei sistemi utilizzati dal nostro cervello per semplificarsi la vita. Allora perché non utilizzarli a nostro vantaggio? Molte persone ignorano quali siano i propri shortcut (cioè quelle famose ricette che attivano determinati stati d’animo), ma sarebbe davvero utile scoprirne quanti più possibile, in modo da richiamare in ogni istante lo stato d’animo più utile per il tipo di situazione che ci troviamo ad affrontare.

Faccio un ultimo esempio: ti è mai capitato di innervosirti quando ascolti qualcuno che parla con un certo tono di voce, anche se non si rivolge direttamente a te? Penso proprio di si. Probabilmente in passato, hai provato stress mentre interagivi con una persona che si rivolgeva a te con quel determinato tono di voce. Ora il tuo cervello appena sente una persona, anche estranea, che parla con quel tono di voce automaticamente genera quello stato d’animo di nervosismo. Immagina di stare in fila alle poste ed un signore dietro di te si rivolge ad un altro con tono insolente e impertinente. Non avresti alcun bisogno di innervosirti, perché il tuo cervello potrebbe valutare che quel segnale non è diretto a te o che forse quella persona potrebbe avere i suoi buoni motivi per parlare in quel modo. Eppure faresti di tutto per zittire quella voce. Perché? Perché se il cervello facesse continuamente elaborazioni di questo tipo spenderebbe troppe risorse, per cui preferisce attivare immediatamente lo stato d’animo che ritiene consono a quel segnale che sta ricevendo, anche se non è indicato per quella situazione. Così appena ascolti quella voce con quel particolare tono insolente, automaticamente ti innervosisci... E’ appunto uno shortcut, una scorciatoia del tuo cervello.

Allora la domanda è questa: perché non utilizzare questa caratteristica della mente a nostro vantaggio? La maggior parte degli shortcut sono composti da pochi segnali. Puoi scoprire ad esempio che per trovare le giuste motivazioni per dedicarti ad un progetto può essere sufficiente visualizzare mentalmente due o tre immagini. Allora appena applichi la giusta sequenza... il gioco è fatto. Oppure potrebbe bastarti ascoltare un suono, una musica o fare un piccolo gesto come mettersi di profilo davanti allo specchio…
Scopri il modo per entrare e uscire rapidamente da ogni stato d’animo e troverai il modo per gestire le tue azioni.