lunedì 15 giugno 2009

Affrontare la paura

Qualche giorno fa abbiamo parlato di “comfort zone”, cioè di quell’insieme di attività che facciamo abitualmente e che ci procurano una sensazione di tranquillità e sicurezza. Quando “usciamo” dalla nostra “comfort zone” proviamo sensazioni spiacevoli, tensioni e paure: è per questo che cerchiamo di tornare il più rapidamente possibile all’interno dei confini conosciuti. Ma abbiamo anche visto che per crescere, cambiare, migliorarsi, ottenere qualcosa che non si ha, superare un nostro limite, non possiamo fare a meno di uscire dalla nostra zona di comfort e vincere le nostre paure.

Il restare ancorati alle nostre abitudini ci fa sentire sicuri; ma allo stesso tempo è nella nostra natura cercare nuovi stimoli, ampliare le nostre conoscenze, provare nuove esperienze. Nella natura umana convivono due forze opposte: l’una che ci spinge a rimanere dentro i confini della “comfort zone” e l’altra che invece vuole spingerci fuori alla ricerca di novità. La prima fa leva sul nostro innato bisogno di sicurezza, sulla necessità che abbiamo di tenere ogni situazione sotto controllo; l’altra fa leva sulla nostra curiosità, sul bisogno di varietà che pure contraddistingue il genere umano. Anche il “dolore” è una condizione che può spingerci a cambiare le nostre abitudini. A volte ci troviamo in condizioni che ci procurano forti disagi: ad esempio il rapporto con la suocera, il tipo di lavoro che svolgiamo, il luogo nel quale viviamo... Nonostante queste situazioni ci procurino dolore, spesso non abbiamo la forza per cambiarle, perché rappresentano per noi una condizione abituale: il nostro bisogno di restare dentro la “comfort zone”, cioè di lasciare le cose così come stanno, è più forte del disagio che proviamo. A meno che il dolore non cresce enormemente e supera una certa soglia. Quando il dolore diventa insopportabile acquisiamo un potere inaspettato: un potere talmente grande che potrebbe spingerci a cambiare completamente la nostra vita nel giro di pochi istanti.

Ricapitolando, sono due le ragioni che ci spingono ad uscire al di fuori della nostra zona di comfort: o perché proviamo dolore per una condizione contingente o perché decidiamo di assecondare il nostro bisogno di varietà e la nostra curiosità. In ogni caso c’è sempre bisogno di una certa dose di coraggio, perché uscire - anche di poco - dalla “comfort zone” genera sempre tensioni e paure. Ecco che qui entra in gioco la persona, il suo carattere, le esperienze che ha avuto. Ci sono persone coraggiose che sono in grado di rimettere costantemente in gioco la propria vita e altre che hanno perfino il terrore di cambiare parrucchiere.

Bada bene che il coraggio non è l’assenza di paura. L’assenza di paura si chiama incoscienza: ad esempio una persona che non ha paura di giocare alla roulette russa, non è coraggiosa, ma è semplicemente incosciente. Il coraggio, al contrario, è la capacità di tenere sotto controllo la paura. La persona coraggiosa è una persona che prova paura, ma non si fa limitare da essa. Il coraggioso non è colui che non prova paura, ma colui che sa vincerla.

Bene, pensare di passare un’intera vita rifugiato nella nostra zona di comfort vuol dire automaticamente avviarsi all’infelicità e alla frustrazione. Non possiamo rinnegare il nostro bisogno di novità, non possiamo non assecondare la nostra curiosità. Il nostro obiettivo deve essere quello di allargare il più possibile la nostra “comfort zone”, in modo da trovarci a nostro agio nella maggior parte delle situazioni possibili, in modo da avere un consistente bagaglio di esperienze, idee, modelli che ci danno sicurezza, serenità e tranquillità. Ciò si traduce in una grande capacità di adattamento alle situazioni esterne e quindi anche nella capacità di poter godere di ogni contesto nel quale ci troviamo. Ma come detto, per allargare i confini della nostra comfort zone, è necessario acquisire un po’ di coraggio e vincere le nostre paure.

Supponiamo che io non sia soddisfatto del mio attuale lavoro e abbia intenzione di cambiarlo. So benissimo che nel momento in cui deciderò di cambiare lavoro attraverserò un periodo di incertezza, perché sarò costretto ad uscire dalla mia zona di comfort: dovrò affrontare colloqui di lavoro, apprendere nuove mansioni, stringere relazioni con i nuovi colleghi, cambiare le mie abitudini, trovare nuovi equilibri e riorganizzare parte della mia vita. Mi troverò ad affrontare situazioni alle quali “non ero abituato”. E’ proprio ciò a cui non siamo abituati che genera tensioni e paure. La paura deriva dall’incertezza del risultato: "e se non mi va bene?". "e se peggioro la mia situazione invece di migliorarla?". Ogni cambiamento porta sempre con sé una certa quantità di paura, dovuta appunto all’incertezza del risultato. Questa incertezza ci fa prendere tempo: rimandiamo il momento dell’azione perché abbiamo bisogno di riflettere bene su ciò che stiamo facendo. Pensiamo che la riflessione approfondita possa aiutarci a fare chiarezza, ma non è così. Crediamo che valutare più volte tutte le variabili in gioco possa ridimensionare quella sensazione di incertezza che ci genera paura. Ma - ripeto - non è così: più passa il tempo, più rimandiamo il momento dell’azione e più la paura cresce. Se qualcuno ci garantisse in anticipo che la scelta che stiamo per fare migliorerà la nostra condizione, non avremmo paura. Ma purtroppo non è stata ancora inventata la sfera di cristallo per cui non sapremo mai in anticipo quali saranno le conseguenze finali di una nostra scelta. Non serve rifletterci per mesi (o addirittura anni), perché ogni volta che riflettiamo sulle possibili conseguenze di una nostra azione andiamo nel campo della preveggenza che ha poco a che vedere con la ragione. Possiamo fare previsioni, ma nulla più: e quante volte il futuro ci ha riservato proprio le esperienze che avevamo previsto? Probabilmente mai!

Del resto se abbiamo deciso di cambiare lavoro è perché l’attuale situazione ci crea disagio. Quindi in questo caso abbiamo una forza (che è il dolore per la situazione contingente) che ci spinge a cambiare e un’altra forza (l’incertezza, la paura) che ci limita. Ma se la situazione attuale ci dà disagio, non possiamo fare a meno di affrontarla, perché se non agiamo la situazione tenderà a peggiorare: col passare del tempo proveremo ancora più dolore e soprattutto non faremo altro che aumentare l’intensità della paura connessa al cambiamento.

La paura è davvero una brutta bestia: tende a crescere man mano che trascorre il tempo e non viene affrontata. Quando proviamo paura tendiamo a prenderci del tempo per rifletterci, nella speranza di trovare il modo di smorzare quello spiacevole sentimento, ma in realtà, rimuginando e rielaborando, non facciamo altro che amplificare la nostra paura fino a renderla un ostacolo pressochè insuperabile.
Forse il miglior modo per pensare alla paura, è immaginarla come un mostro. All’inizio è piccolo, ma più facciamo passare il tempo senza agire e più il mostro cresce. Il mostro si alimenta con i nostri pensieri: più riflettiamo su tutte le possibili conseguenze, più il mostro si gonfia. Arriveremo ad un punto in cui avremo creato nella nostra mente un mostro invincibile.

Con questo non voglio dire che non bisogna riflettere sulle scelte da fare: ma si arriva ad un punto in cui si intuisce che ulteriori riflessioni non aggiungono nulla alla questione, ma servono solo a prendere tempo, a posticipare il momento dell'azione solo perché si temono le conseguenze della nostra scelta. Quello è il punto in cui ogni giorno passato senza agire fa crescere il nostro mostriciattolo.

Un esempio banalissimo che è capitato ad ognuno di noi è la classica telefonata di scuse da fare ad un amico. Questo genere di telefonate genera sempre qualche tensione. Dovremmo chiamarlo oggi, ma la cosa ci infastidisce, per cui rimandiamo a più tardi. Poi ce ne ricordiamo quando ormai è troppo tardi, per cui è meglio chiamarlo il giorno dopo. Poi casualmente il giorno dopo siamo impegnatissimi. E così passerà una settimana. Nel frattempo quel senso di fastidio che avevamo all’inizio e cresciuto significativamente: “dovevo scusarmi e ho fatto passare una settimana... Adesso penserà che sono un gran maleducato...”.
E così fare quella telefonata diventa più difficile. E dopo 15 giorni penseremo che ormai è inutile fare quella telefonata perché è passato tanto tempo e diventerebbe difficile convincere il nostro amico della nostra buona fede. Arriveremo al punto in cui incroceremo quella persona per strada e faremo finta di non conoscerla perché avremo paura di affrontare una situazione di forte tensione emotiva. Magari quella persona ci saluterà come se niente fosse perché si sarà anche dimenticata della faccenda: lui parlerà del più e del meno e noi rossi come peperoni in una situazione di forte imbarazzo... A dimostrazione del fatto che la nostra mente – da sola - era riuscita a creare un mostro enorme.

Ma quella tensione era partita come un semplice senso di fastidio dovuto al fatto di dover fare una telefonata scomoda. Siamo noi che l’abbiamo alimentata creando un mostro invincibile.
La questione è che la paura va affrontata subito, e se non puoi affrontarla subito, devi farlo il prima possibile. Altrimenti il mostro crescerà e quando verrà il giorno in cui dovremo inevitabilmente affrontarlo, avremo tantissime difficoltà. Il motto è: “uccidi il mostro finché è piccolo!”.

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